Il potere ed i soldi

“I rapporti Oxfam e simili, che utilizzano criteri alquanto discutibili, non contribuiscono né a diminuire le disuguaglianze né ad aiutare chi è in una condizione di povertà, ma servono solo a foraggiare i professionisti dell’indignazione. “ Eccetera eccetera, capitalismo etico e tutto quanto. Bla bla bla.

Alla pubblicazione del rapporto che rivela che 8 persone possiedono la stessa ricchezza del 50% della popolazione mondiale, leggo questi commenti, certo giusti, ma non sono soddisfatto. Non svaluto chi vuole spiegare che il capitalismo consente il benessere più di qualunque altro sistema. Mi sta bene, ma non mi soddisfa.

Sempre in cerca di posizioni chiare ho bisogno di qualcosa di più. Qualcosa che centri l’obiettivo. M’interrogo sulle parole e mi chiedo cosa significhi ricchezza.
Da bambino avevo l’immagine di depositi di danaro, fare il tuffo nelle monete, un uomo tirchio che risparmia ogni cent e possiede fantastiliardi di dollari. Però Orwell racconta, nel suo meraviglioso “Senza un soldo a Parigi e Londra”, di avere conosciuto l’ultimo avaro di Parigi, un barbone morto conservando enormi ricchezze nel materasso. L’ultimo, appunto: epoca finita. Negli anni ’80 leggevo di ricchi arabi con i rubinetti dello yacht di oro massiccio, cioé del dispiegamento cafone della ricchezza come spreco e insulto alla povertà. E amici mi raccontano di aerei mandati apposta a prendere le rose appena spiccate dai giardini di Ryjad per qualche moglie del sultano che occupava piani interi di qualche albergo in Europa. Tutto finito, ché gli arabi adesso investono e nutrono le nostre aziende bisognose di capitali. Ci saranno ancora i capricci di qualche favorita, ma il cuore, the beef, è diventato un oculato impiego degli immensi capitali derivanti dal petrolio.
M’interrogo allora sul significato di ricchezza. Anni fa era Bill Gates l’uomo più ricco del mondo. Devo immaginare un uomo con un conto corrente con tantissimi zeri? non ci sono più l’epoca e le condizioni per immaginare depositi di monete. Sono allora zeri nell’estratto conto? ovviamente non è così. E non sono proprietà terriere, giacimenti minerari, fonderie d’acciaio, non ci dobbiamo immaginare un uomo che a gambe divaricate dà ordini ai suoi operai nel cortile di una fabbrica. Oggi sono Zucherberg o altri che, come lui, forniscono servizi che per noi sono essenziali. La loro ricchezza deriva dall’aver capito prima degli altri cosa ci serve e fornircelo in maniera gradevole e utile. E’ una ricchezza basata essenzialmente sulla fiducia; domani dovessero scoprire un vulnus nel sistema informatico, la ricchezza di queste persone sparirebbe all’istante. Anche fossero proprietari di miniere di rame o di immense coltivazioni di grano, quindi di beni ben tangibili e solidi, la ricchezza potrebbe scomparire in fretta dietro le fluttuazione dei listini di borsa. Al di là di tutto, la ricchezza è oggi costituita da azioni, partecipazioni, quote di società che hanno un valore. Zuckerberg detiene una quota di un’azienda ed è questa quota che viene conteggiata dai rapporti. Nessuno va a vedere il suo conto corrente, che potrebbe essere anche vuoto.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. Ripensamento su “Tre manifesti ad Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh (2017)

di Roberto Bolzan

Saremmo andati a rivedere un film che ci aveva molto presi, ma siamo stati trattenuti dal pensiero che ci sarebbe piaciuto meno. Il segno è inequivocabile, perché questo non ci succede mai con le opere solide e con i prodotti del genio, quelli veri.

Inoltre, durante la settimana, abbiamo ripensato alla pellicola vista da poco, ne abbiamo parlato a pranzo ed a cena e ci siamo perfino interrogati su dei dettagli che inizialmente avevamo trascurato.

Alla fine ci siamo chiesti se fosse lecito cambiare idea e se fosse giusto esporsi pubblicamente tipo banderuola e ci siamo risposti che si, andava fatto. Che non solo il cambiare orientamento è segno di vitalità, ma che è addirittura una delle cose belle e interessanti della vita.

E allora lo diciamo, che il film di Martin McDonagh ci ha già stancati, così come l’opera che nasce già esausta dall’intreccio meticoloso e faticoso dei dialoghi, ben scritti, certo, ma obbligati con la forza a reggere da soli una trama che non sta in piedi in alcun modo.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Tre manifesti ad Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh (2017)


di Roberto Bolzan

Film che non si discute, bello senza riserve, ma a noi piace discutere e diffidiamo del troppo bello, che spesso si confonde con il furbo o, in questi anni senz’anima, con l’eccessiva familiarità con la cineteca.

Diciamo che l’esplorazione del cinema degli anni ’90 ha trovato nei fratelli Cohen una fonte infinita di ispirazione e, in questo caso, anche una sintonia nella passione per la scrittura minuziosa ed implacabilmente precisa. Film di un cinefilo, come si capisce, che tradisce fin troppo, nella fin troppa bravura, il suo gioco. La fin troppo brava Frances McDormand non solo allude ma ci scaraventa nelle atmosfere di Fargo, dalle quali è impossibile sottrarsi.

Territori neri, quelli dei fratelli di St. Louis Park, dove si ambienta una commedia nera. La madre di una ragazza violentata ed uccisa decide di affittare tre spazi pubblicitari ed affiggere un richiamo per la polizia locale, che non ha mai concluso le indagini né trovato l’assassino della figlia.
Lo sceriffo è malato di cancro e tutta la cittadina lo sa. Si suicida virilmente lasciando delle lettere alle persone chiave di quesa storia. Il vice sceriffo, picchiatore di negri, rimane sfigurato nell’incendio dell’ufficio.  Nel contempo quello che pare essere l’assassino pare essere individuato, ma non si sa veramente. se è lui e quale sarà il suo destino. Altre cose accadono nel corso della narrazione. (altro…)

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Suburbicon” di George Clooney (2017)

di Roberto Bolzan

Due storie si sommano in questo film: una famiglia compera casa in un sobborgo modello di una città americana degli anni ’50; una rapina finisce malissimo ed il colpevole è fra di noi.

Non possiamo raccontare di più, anche se perfino allo spettatore meno smaliziato apparirà evidente il colpevole. Ma non importa. Il film è ben condotto e svela gradualmente la sua anima nera. Il passaggio tra la ridente cittadina protetta, sogno di ogni libertario degno di questo nome, middle class, barbecue e prati rasati, e la storiaccia che d’improvviso ne viene a tubare i sonni è graduale e sottile. (altro…)

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards (1961)

di Roberto Bolzan

Chiudiamo un anno stopposo con una commedia amarissima. Un film che tutti conosciamo, ma è sempre bene nella vita fare un ripasso. E qui siamo a livelli altissimi per cui ne vale certamente la pena.

New York, 1961. Holly Golightly  (Audrey Hepburn) è una ragazza che campa a 50 dollari per prestazione. Non si dice in cosa consista, per delicatezza, ma s’intuisce; Paul Vasrjac è un giovane scrittore che ne riceve 1000 come buonuscita dalla sua protettrice. I due s’incontrano e s’innamorano. S’innsmorano per modo di dire perché lei è una ragazzina immatura, con mille ansie e paure ed una sciocca sregolatezza, lui uno scrittore gran sognatore e si fa mantenere da una ricca signora sposata che in realtà lo paga per le sue prestazioni sessuali e che lo molla senza nessun dispiacere. (altro…)

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Super vacanze di Natale” di Paolo Ruffini (2017)

di Roberto Bolzan

“Il mondo dei film di Natale è un mondo più bello, la parolaccia non è tesa mai a offendere e la leggerezza vince sempre su tutto. Non è un’esperienza riproducibile oggi, che il linguaggio permette meno libertà. Sono film di una scorrettezza meravigliosa, tutto era più leggero e lo era anche il pubblico. Oggi i miei colleghi hanno paura dei commenti su Facebook.”

Basterebbero queste parole di Ruffini per farci alzare le orecchie, se non fosse che siamo già geneticamente disposti al genere. Non siamo andati a vedere il film perché, confesso, ci vergogniamo e quindi aspettiamo che esca su Sky, dove nessuno ci vede. E poi li abbiamo già visti, tutti, per fortuna.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Chinatown” di Roman Polanski (1974)

di Roberto Bolzan

Film crudelissimo e terribile, nero, vero hard-boiled girato non negli anni ’40 ma nei ’70, con la stessa implacabile netta precisione di un romanzo di Hammett.

Bei tempi quelli! impressionati dal metalinguismo oggi si fanno i film con troppe intenzioni ed una storia come questa diventerebbe il pretesto per colte citazioni, mentre gli attori farebbero esercizi di bravura fini a sé stessi. E il male, invece di riflettersi nello sguardo di Jack Nicholson, sarebbe illustrato con uso di trucchi e animazioni.

Film di trama, quindi. L’investigatore J.J. Gittes (Jack Nicholson) viene assoldato da una donna che si presenta come la signora Evelyn Mulwray per investigare sulla presunta infedeltà del marito. Il giorno dopo la vera moglie di Mulwray (Faye Dunaway) si fa viva e revoca il mandato. Quando il marito viene ritrovato annegato in un bacino idroelettrico, Gittes inizia ad indagare su strane storie di acqua che apparentemente viene utilizzata per irrigare dei terreni agricoli ma in realtà viene dispersa. Il tutto è legato ad una speculazione edilizia in corso di cui è capofila il padre di Evelyn, Noah Cross (John Huston). Gittes decide di scoperchiare questo sistema di malaffare per scoprire delle realtà inconfessabili sulla famiglia Cross. Nella fuga di Evelyn con la sorella, a Chinatown succede l’irreparabile, con la sconfitta di Gittes.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “J. Edgar” di Clint Eastwood (2011)

di Roberto Bolzan

Amiamo Clint Eastwood con tutto in nostro cuore e tutte le nostre forze. Proprio per questo non riusciamo a concepire e troviamo detestabile questo film, che in due ore e mezza ha l’unico scopo di portare ad una scena casalinga di vestaglie, gelosia e bacio con goccia di sangue il mitico direttore dell’FBI ed il suo vice, elevato tramite promozione lampo in un’altra scena che non qualifichiamo (il fazzoletto che segna l’intimità tra i due e che ricorre in tutto il film, ecco, non avremmo mai voluto vederlo).

J. Edgar Hoover, dunque, creatore e direttore del  FBI, mitico personaggio sopravvissuto ad otto presidenti americani in cinquanta anni di carriera, superbamente interpretato da Leonardo di Caprio.
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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Polytechnique” di Denis Villeneuve (2009)

di Roberto Bolzan

Quando Michael Moore racconta il massacro del liceo Columbine di Littleton omette, certo volutamente, di raccontare quello per tanti versi simile dell’École Polytechnique di Montréal, in quel Canada dove non si vendono armi da fuoco ai grandi magazzini. Falsificata la verità per ottenere il suo obiettivo retorico, sette anni dopo pensa Denis Villeneuve a scoprire la parte nera del Québec.

Detestiamo il cinema francese e ci annoia il bianco e nero, ma qui siamo in presenza di qualcosa di mai visto. Abbiamo riserve sui film successivi di Villeneuve, ma il ragazzo ha del genio e lo si vede qui.

Il film racconta la strage avvenuta il 6 dicembre 1989 all’École polytechnique di Montréal, quando il venticinquenne Marc Lépine uccise a colpi d’arma da fuoco quattordici studentesse, per poi togliersi la vita.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Wertmüller (1974)

di Roberto Bolzan

Il cinema italiano riserva una grande quantità di film interessantissimi, basta andare abbastanza indietro nel tempo. Bene ha fatto quindi il ministro a pretendere che si veda cinema italiano.

Tra le cose che non possiamo dimenticare c’è la stagione nella quale comparivano al cinema titoli lunghissimi, con i quali divenne famosa Lina Wertmüller, italianissima a dispetto del cognome tedesco.

Siamo in agosto, quindi, nell’agosto del 1974. Raffaella Pavoni Lanzetti, moglie di un ricchissimo industriale milanese, con alcuni amici si sta godendo una crociera al largo della Sardegna su di una lussuosa barca. Prepotente, snob e piena di sè, il suo atteggiamento e le sue conversazioni offendono continuamente la ciurma proletaria in cui a schiumare di rabbia repressa c’è un certo Gennarino Carunchio, siciliano, comunista, caratteraccio.
Usciti soli su di un gommone, a causa di un guasto al motore, Raffaella e Gennarino finiscono su di un’isola deserta. La disperata situazione offre al maschio proletario il destro per capovolgere la situazione e vendicare secoli di angherie, schiavizzando l’altezzosa industriale che, passando dalla rabbia alla paura all’incanto, cade persino nell’amore.
Il ritorno al continente ristabilisce le distanze: Raffaella viene fagocitata (con qualche sterile rimpianto) dal sistema; Gennarino tornerà a portare la valigia alla corpulenta madre dei suoi figli.

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