di Andrea Babini
2) La sanità del “Libro cuore” (Parte seconda)
Si arrivò cosi a una norma per regolare la sanità pubblica, la legge Pagliani-Crispi del 1888. La vera rivoluzione fu che i Comuni ebbero l’obbligo di assumere a proprie spese un “medico condotto”. In questo modo il medico non era più un “precario” in balia dei capricci del Sindaco, ma un vero e proprio dipendente pubblico stipendiato dall’amministrazione comunale per prestare assistenza medica gratuita a tutti. Il sistema di assistenza restò, ovviamente, parziale; infatti non era prevista l’istituzione di una “condotta farmaceutica” e la fornitura di medicinali era lasciata al mercato (fatta eccezione per la preparazione professionale del farmacista che avveniva in ambito universitario pubblico con la qualifica di speziale). Per quanto riguarda la farmaceutica, la legge Crispi si ispirò principalmente alla massima libertà nell’apertura ed esercizio delle farmacie, senza limiti a carico del proprietario che poteva non essere laureato ed avere la proprietà su più farmacie, con il solo obbligo della direzione responsabile di un farmacista. Una importante novità in ambito farmaceutico fu, nel 1892, la prima edizione della Farmacopea Ufficiale*, che sostituì tutte le normative locali. Jacob Moleschott, medico e fisiologo materialista molto noto a livello internazionale, docente in diversi atenei italiani, era a capo della commissione che licenziava il documento in cui erano elencate tutte le sostanze che potevano essere preparate dai farmacisti, nonché i modi di preparazione. Nel 1902, la seconda edizione evidenzia una sterzata verso la chimica che è un altro indicatore di evoluzione della scienza medica e farmacologica.
La figura del medico condotto diventerà fortemente simbolica di quella Italia postunitaria, soprattutto nelle aree rurali. Insieme al sindaco, al parroco, al comandante dei carabinieri e al farmacista rappresentava la classe dirigente di un virtuoso “piccolo mondo antico” dal sapore deamicisiano nel quale l’immaginario collettivo riversava le sue spinte ideologiche. Va detto che in effetti l’abnegazione di queste figure e il senso di responsabilità verso il proprio ruolo pubblico era la regola. Per quanto retorica, la figura del condotto che “sprona il cavallo in uno sfaglio e si allontana a capo chino nella neve e nel vento” era reale (ho testimonianze dirette in famiglia), e questo è tanto più commovente se si pensa che spesso quella cavalcata finiva in qualche misera e fredda casa di contadini per assistere malati disperati con mezzi limitatissimi; si diceva tra i sanitari di allora che essi potevano “consolare sempre, alleviare spesso e guarire qualche volta”.
La Legge Pagliani-Crispi introduceva poi una figura estremamente moderna il “medico provinciale”. Conseguenza certamente dell’ideologia positivista e illuminista delle classi dirigenti postunitarie, questo responsabile era tenuto a compiere personalmente ispezioni, inchieste e controlli sul territorio per poi riferire direttamente al Ministero dell’Interno. Venne così documentata la connessione tra la diffusione delle epidemie e le deplorevoli condizioni igieniche del territorio, tali inchieste organizzate in studi organici diedero il là ad alcune decisioni strategiche da parte dei governi di fine 800 (vedremo il caso della malaria in particolare più avanti) e determinarono la convinzione che fosse legittimo e necessario il controllo pubblico sull’igiene di molte attività. Vennero cosi disciplinate l’igiene delle bevande e degli alimenti, stabilendo norme per la macellazione delle carni e la conservazione dei cibi. E’ di fatto la nascita della prevenzione sanitaria pubblica a livello nazionale; lo Stato per la prima volta legiferava, basandosi su principi scientifici, per la prevenzione di malattie anche a detrimento dei “diritti dei privati” e di antichissime tradizioni per esempio in materia di gestione dei cimiteri. Questo principio legale permetterà di estendere le norme sulla prevenzione a diversi ambiti e debellare diverse malattie infettive, grazie anche all’introduzione di vaccinazioni obbligatorie. Purtroppo tali principi sono anche quelli che hanno portato ai giorni nostri, in nome della “tutela del pubblico interesse”, ad una selva intricatissima di demenziali e ferocemente ideologici regolamenti comunali igienico sanitari con cui autorità sanitarie, sempre meno deamicisiane e sempre più autoritarie e autoreferenziali, vessano i cittadini e le attività nei più banali ambiti della vita quotidiana (norme sulla distanza della maniglia del bagno da terra, norme sulla superficie “illumino ventilante” che non tengono conto delle differenze strutturali da locale a locale, norme sulle dimensioni del tendone ecc ecc). Mi par di poter dire che i nostri bisnonni non hanno colpa, erano mossi, loro, non da ideologia, ma da un alto e ragionevole ideale di progresso scientifico di cui vi era in effetti un gran bisogno. Non va dimenticato, e leggerlo mette quasi tenerezza, che l’incipit del best seller “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, pubblicato per la prima volta nel 1891 recita “scienza, igiene, economia e buon gusto” e, subito dopo l’introduzione, il primo capitolo ha titolo “Alcune norme di igiene”.
Con l’Unità d’Italia uno dei problemi che si venne a creare per la nuova classe politica fu quello della selva inestricabile delle Opere Pie. Si trattava di organizzazioni religiose che controllavano varie attività tra le quali strutture caritatevoli e ospizi di accoglienza per poveri e malati. In buona sostanza, in gran parte del paese, l’ospedale era ancora una struttura privata di un ordine religioso o di una città per l’accoglienza caritatevole di vari tipi di bisognosi. Fu con l’illuminismo scientifico che si iniziò a separare il piano dell’assistenza sanitaria ai poveri da altre forme di beneficienza a scopo sociale (accogliere i trovatelli, i senzatetto, alimentare la plebe durante le carestie ecc.) e, comunque, questo nuovo approccio aveva investito solo la parte settentrionale dello stivale dove l’amministrazione era stata influenzata dalla Francia o gestita direttamente dalla corona asburgica.
Al momento dell’unità le Opere Pie erano 20123 di cui 966 ospedaliere, esse erano basate sul principio dell’assistenza “selettiva” secondo criteri decisi dal fondatore. C’era chi assisteva bambini, chi disabili, chi anziani e via discorrendo e comunque era un modello “paternalistico” volto a fornire soccorso per ottenere in cambio gratitudine e obbedienza. Molte risorse trovavano impiego peraltro in scopi di culto e venivano elargite secondo criteri di selezione basati sulla devozione religiosa.
La questione delle Opere Pie era complicata dai difficili rapporti tra Regno d’Italia e Papato (che non riconosceva il primo) e dal fatto che il personale religioso dentro agli ospedali risultava molto difficile da sostituire in ampie zone del paese. Ad ogni modo la filosofia anticlericale e laicista dello stato unitario ebbe la meglio nel 1890 quando l’ex garibaldino Crispi, con una legge apposita, disciplinò le Opere Pie portandole dall’ambito della Chiesa a quello dello Stato per quanto attiene l’aspetto della “vigilanza” rinominandole Istituzioni Pubbliche di Beneficienza o IPB. L’aspetto innovativo della legge era nel ridimensionare l’aspetto sociale di tale strutture esaltandone le funzioni sanitarie, nel permettere di assistere anche i non residenti (fenomeno da non trascurare perché con la lenta, ma progressiva, crescita industriale stavano iniziando i primi fenomeni migratori). L’aspetto critico era invece di natura economica visto che gli ospedali delle Opere Pie si erano sempre finanziati con le rendite dei patrimoni accumulati in seguito alle notevoli donazioni dei fedeli, entrate, queste, che le IPB non potevano garantire. Le difficoltà economiche furono tali da configurare dopo la prima guerra mondiale una vera e propria crisi finanziaria delle strutture ospedaliere.
Va detto che tali difficoltà di budgtet erano dovute anche all’evolvere tumultuoso della tecnologia e della scienza medica che, per stare al passo con i tempi, si avvaleva di materiali e strumenti sempre più costosi e raffinati; in qualche misura si può dire che in questo periodo inizia quel drammatico dilemma che è proprio di tutti i sistemi sanitari (privati e non), ovvero la difficoltà a trovare un punto di equilibrio tra le risorse e la qualità delle tecnologie disponibili. In questo periodo evolve la tecnica chirurgica, la farmacologia, le tecniche anestesiologiche e l’asepsi**.
In questo periodo si assiste ad un nuovo fenomeno, che diventerà caratteristico della modernità, la gestione economica degli ospedali si apre al concetto di “vendere” dei servizi a chi può permetterseli offrendo cure di qualità, ricoveri e degenze a pagamento ai clienti più abbienti e interessati a disporre appunto delle nuove tecnologie. Per la prima volta in pratica gli ospedali aprono le porte ai ricchi. L’ospedale non è più un ente “caritatevole”, ma un polo scientifico, dotato di moderne attrezzature diagnostiche e strumentali e di una classe medica altamente specializzata e competente, a cui per la prima volta viene affidata anche la direzione amministrativa dell’ente. Il mix di esigenze economiche e avanzamento tecnologico portano alla nascita di una “sanità universale” (anche se ancora non disponibile per tutti).
Continua..
* La “farmacopea ufficiale” è il testo normativo compilato da organismi statali di controllo delle varie nazioni, basandosi sulle ricerche e sui giudizi di istituti universitari accreditati, che descrive i requisiti di qualità delle sostanze ad uso farmaceutico, le caratteristiche che i medicinali preparati debbono avere, suddivisi per categorie, ed elenca composizione qualitativa ed, a volte, quantitativa, nonché, in qualche caso, il metodo di preparazione di ogni farmaco galenico che le farmacie di quel paese sono autorizzate a preparare, oltre a varie tabelle di classificazione dei farmaci.
** L’asepsi è l’insieme di regole che sono tese a prevenire l’entrata di microorganismi in un ambiente precedentemente sterilizzato.
Link alla precedente puntata
1) La sanità del libro cuore. (Parte prima)
viviana katherina cevallos
19 Mar 2019bellissima spiegazione