di Luigi Desiderato
Nel giorno della Befana 2016, che, secondo tradizione cristiana, e’ la ricorrenza della Teofania, ovvero la manifestazione di Cristo al mondo, una citazione evangelica nel titolo appare quanto mai appropriata. Lo stesso giorno, ben altra manifestazione si palesa su un giornale italiano a tiratura nazionale: a firma di Maurizio Belpietro, il titolo di un editoriale di Libero recita: “Tornano le frontiere una buona notizia: l’Europa ora è morta.” Non manca, nel disquisire che segue, un cenno polemico avverso alla Germania che, secondo l’ autore, avendo essa i numeri, e’ il piu’ forte, puo’ crescere, dettare legge, imporre agli altri di accettare il tutto e soprattutto tacere.
Inutile approfondire sul tono volgarmente inaccettabile e dall’ alto di un presunto piedistallo che viene usato in tutto l’ incedere dell’ articolo: mi riservo solo di fare alcune considerazioni pratiche e utili, spero, a comprendere che una simile posizione – questa si’ – e’ perniciosa, rappresenta l’ esatto contrario di cio’ che sarebbe auspicabile anche e forse soprattutto per i paesi cosiddetti euro-deboli o euro-scassati. E, dal mio punto di vista, sarebbe meglio che la stampa italiana – tutta – cominciasse davvero a realizzare il suo importantissimo compito, ovvero quello di informare, raccontando i fatti e non le opinioni di qualsiasi, anche famosissimo, giornalista.
Per contestare l’ opinione del noto direttore, si potrebbe scegliere la dotta strada di citare grandi pensatori o uomini politici del passato che anche da noi hanno speso parole senza dubbio di alta levatura: uno su tutti, Luigi Einaudi, il quale affermava parole che sembrano attuali come poche altre: “… Nel conflitto tra la “tecnica” la quale unifica economicamente il mondo e gli “artifici” con cui i governi tentano di spezzare questa unita’, a chi spettera’ la vittoria? La risposta non par dubbia. La vittoria spettera’ alla tecnica e non all’ artificio. Se gli uomini di stato non troveranno la formula mediatrice fra le piccole patrie e l’ unita’ del mondo economico, le prime e non la seconda, saranno distrutte”. Purtroppo, ai fini di questa nota, questa dotta strada appare del tutto non percorribile, vista la molto mediocre capacita’ degli stessi uomini politici e di informazione a capirne il vero e profondo significato, impotenti ed incapaci a trasferire ai propri cittadini e/o lettori una cultura del costruire invece che quella del distruggere.
Dunque, per cercare di comprendere cosa accadrebbe ad ognuno di noi se l’ auspicio di Libero si avverasse, proviamo con degli esempi molto banali, semplici, ma da tutti comprensibili. E per fare questo ci spostiamo in un’ azienda qualunque, immaginando che questa operi essenzialmente sul territorio europeo per due motivi: 1) la stragrande maggioranza delle aziende lo fa quotidianamente, 2) fortunatamente, l’ export sostiene ancora l’ economia italiana visto che la domanda interna latita e questa seconda osservazione e’ anche a giustificazione del motivo precedente. E’ forse inutile ricordare che le imprese sono quei luoghi dove si crea la ricchezza che serve a mantenere non solo chi ci lavora, ma complessivamente anche lo status quo? Credo sinceramente di no, non e’ per nulla inutile. Dovendo quindi esportare i beni prodotti, la chiusura delle frontiere comporterebbe – quanto meno – un immediato incremento della burocrazia, un allungamento dei tempi di consegna e, qualora si realizzasse anche l’ uscita dalla moneta unica come pari giornalisti – se non direttamente lo stesso qui in questione – auspicano, maggiore lavoro (inutile e inutilmente costoso) per fare cio’ che gia’ oggi si fa. Si potrebbe opinare che forse ci sarebbero piu’ posti di lavoro: certo, ma lavoro improduttivo, con aggravi di costi sui prodotti stessi. Cosa che renderebbe meno appetibili le stesse ns. merci. La stessa accresciuta difficolta’ si solleverebbe qualora fossero le persone a doversi spostare: controllo passaporti, file chilometriche alle reintrodotte dogane, ore improduttive perse a dismisura per le pratiche burocratiche di frontiera: insomma, un non proprio modesto incremento dei costi che avrebbe lo stesso risultato citato per le merci. A questo si sommerebbe un incremento di costi per nuovo personale pubblico adibito alle pratiche di frontiera, costo che si scaricherebbe ovviamente sul piano fiscale gia’ cosi’ tanto opprimente oggi. Ovvero, una reintroduzione delle frontiere graverebbe come un incremento significativo dei costi del paese e una sua minore competitivita’. In una siffatta situazione, in un’ Europa ri-divisa in piccoli stati nazionali, chi se la caverebbe alla meno peggio (parlare di meglio sembra del tutto fuorviante) sarebbero ovviamente i paesi piu’ organizzati: anche qui, l’ italica atavica non propensione all’ organizzazione statale – e non – sarebbe causa di maggiore danno per tutti noi e altri paesi avrebbero maggiore spazio per sottrarci posizioni di mercato.
Mi si potrebbe obiettare che l’ auspicata chiusura delle frontiere potrebbe essere un ottimo motivo per respingere quella che molti – a sproposito – chiamano invasione, o a respingere orde di criminali cosi’ pronte a valicare l’ italico confine per delinquere a piu’ non posso. (Per inciso, di invasione non si potra’ mai parlare finche’ chi “scappa” da questo paese e’ in sovrannumero rispetto a chi vi entra, pur se a qualsiasi titolo: tuttavia, non voglio certo proseguire qui su questa polemica). Sinceramente, questo mi appare piu’ un problema di ordine pubblico, di rispetto delle leggi e di certezza della pena, tutte cose sulle quali noi non eccelliamo per nulla gia’ con gli autoctoni ed anzi sono motivo e strumento per dolersi di fatti delittuosi che salgono agli onori delle cronache da un lato e una sorta di “lasciapassare” per coloro che delinquono con le loro criminali scorribande dall’ altro. Il problema non si risolve evidentemente con la chiusura delle frontiere, perche’ come credo di avere dimostrato, non e’ la loro presenza o mancanza che impedisce o patrocina atti delittuosi, ma decisioni politiche – e non – di non seguire le leggi, talvolta addirittura da parte di chi quelle stesse promulga. A questo proposito viene facile un esempio che permette un confronto abbastanza inequivocabile tra Italia e la cosi’ “cattiva” Germania: dal primo di gennaio scorso, sul tratto autostradale A8 che collega Varese a Milano, in entrambe le direzioni e’ apparso il limite di velocita’ di 90 km/h. Si tratta, come molti sanno, di decine di km di autostrada assolutamente rettilinea, a 4 o addirittura a 5 corsie per senso di marcia ed appare del tutto evidente che quel limite sia stato messo per motivi che con la pericolosita’ del tratto o la sicurezza c’ entrino meno di nulla, cosi’ come e’ stato ampiamente dimostrato anche da ricerche scientifiche recentissime che non c’ entreranno neppure le questioni di inquinamento ambientale. Mi immagino che in breve tempo appaiano appostati ai fianchi della stessa pattuglie di Polizia dotate di marchingegni utili a “fare cassa” laddove la densita’ di traffico indichi un’ enorme possibilita’ di riuscita dell’ impresa, essendo quella in assoluto l’ autostrada piu’ trafficata d’ Italia. In Germania cosa accade invece? In Germania, salvo alcuni casi particolari per i quali la motivazione e’ ben chiara e dichiarata, i limiti di velocita’ in autostrada non esistono; le autostrade tedesche sono anche spesso ghiacciate (tanto che nel nord sono in corindone e non in asfalto); c’ e’ una velocita’ consigliata, ma ognuno si regola come meglio preferisce: del resto, non si hanno notizie settimanali o quotidiane di ecatombe di incidenti sulle “Autobahnen” tedesche: liberta’ corrisponde a responsabilita’. A cosa servira’ mai mettere dei siffatti limiti se non a frenare o ad impedire anche lo sviluppo delle attivita’ economiche? Spesso, va rilevato, su quella autostrada si e’ incolonnati al punto che la velocita’ di 90 km/h e’ semplicemente una kimera. Dunque? Se tornassero le auspicate frontiere, i tedeschi, ma non solo loro, grazie alla loro maggiore, piu’ efficace ed efficiente organizzazione statale, avrebbero un altro vantaggio competitivo: e’ il caso che glielo si regali? E soprattutto: e’ il caso che si mettano ulteriori freni alle aziende che con quelle tedesche – e non – competono?
L’ Europa e’ morta. Giulio Cesare era solito usare un motto passato alla Storia: “Divide et impera!”: noi potremmo tradurlo anche col suo contrario, ovvero che “l’ unione fa la forza”: c’ e’ forse qualcuno che possa pensare di risolvere da solo e meglio un problema che altri risolvono in gruppo? No, nessuno, manco certi altri esseri viventi lo fanno e si organizzano secondo Natura in societa’. E’ pero’ evidente che, dalla formazione del gruppo, ognuno ha tanto i vantaggi, quanto gli svantaggi. Un esempio chiarificatore: vivendo in condominio, se uno studiasse pianoforte o qualsiasi altro strumento (pensiamo alla batteria che e’ anche peggio), e’ evidente che non possa farlo se non entro i limiti che quella comunita’ (il condominio) si e’ data: questo e’ un limite per chi studia, ma un vantaggio complessivo per tutti (quando si studia e’ molto diverso dal sentire un concerto). Cosa accade in questo caso? Una cosa semplicissima: la cessione di parte della propria sovranita’: non posso suonare quando voglio, ma solo quando e’ permesso. Di fatto, la vita in comunita’ rappresenta un sicuro vantaggio, quanto meno economico: ad esempio, per le pulizie dello stabile pago una parte delle stesse: se vivessi da solo, le pagherei per intero. Ovvero, per vivere in una comunita’ che rende piu’ adatti a vivere meglio, si sacrifica qualcosa di personale per ottenere un complessivo vantaggio collettivo (e quindi anche personale). La questione Europa non e’ molto dissimile da questo concetto: un’ Europa federale (guarda caso la stessa idea che ebbe sia il citato Einaudi che Altiero Spinelli) sarebbe l’ auspicio migliore per far funzionare al meglio la stessa e quindi anche coloro che vi partecipano. Ovviamente, il pedaggio da pagare si chiama cessione di sovranita’: non ci sono frontiere (e abbiamo visto che questo comporta dei vantaggi); c’ e’ una difesa federale del territorio, ovvero un esercito europeo; una posizione univoca e unitaria per le questioni di politica estera; le leggi di spesa (o finanziarie e/o di stabilita’ che chiamar si vogliano) sono fatte per l’ intero territorio federale: quanti e quali risparmi virtuosi di spesa si potrebbero immaginare per noi italiani se cosi’ fosse? E via dicendo. Utopia? Pia illusione? Forse oggi si’, soprattutto quando un’ idea beceramente contraria viene spacciata come “buona notizia” da chi dovrebbe invece impegnarsi ad informare e proporre un’ Europa molto diversa da quella che oggi funziona male e poco: se pero’ funziona male e poco, dato il suo alto vantaggio anche solo economico per tutti, la soluzione da proporre non e’ l’ abolizione dell’ Europa, ma una molto maggiore integrazione che abbandoni finalmente il dissertare e agire burocratico, inutile e pernicioso, sulla curvatura delle banane, sulle dimensioni delle “veneridae” e su tante altre cose che consumano sterminate quantita’ di alberi tagliati per ridurli in carta da imbrattare con simili sciocchezze. Ora, appare del tutto evidente che la cecita’ del ns. editorialista sia quanto mai pericolosa e del tutto sterile: la sua proposta appare in tutta evidenza come il tentativo di un cieco di guidare un altro cieco su una strada molto pericolosa. Paradossalmente, ci vorrebbe (ma meglio sarebbe usare il presente: ci vuole) molta piu’ Europa, un’ Europa nella quale si cominci finalmente a discutere di cosa mettere in comune, piuttosto che continuare a guardare in cagnesco chi, approfittando spesso anche delle debolezze della stessa Europa e dei sui caduchi, vetusti e ormai inadeguati ordinamenti, ne trae un vantaggio personale mentre altri, a causa della loro disorganizzazione e autolesionismo, non riescono che a mietere sconfitte su sconfitte. Ma c’ e’ questa volonta’ o anche solo disponibilita’ di maggiore cessione di quote di sovranita’ per costruire finalmente una federazione che sia piu’ a misura delle varie anime che la compongono? Perche’ un giornalismo che si attarda su questioni davvero sciocche e poco importanti e’ sempre e solo pronto a proporre idee distruttive invece che spingere anche i propri lettori a piu’ approfondite osservazioni? Perche’ certa informazione si ostina e si attarda a voler confinare l’ Italia in un recinto di becero provincialismo, di chiusura, di autolesionismo e non prospetta e propone invece dei grandi ideali per percorrerli in modo che i ns. figli e i loro figli abbiano finalmente la fortuna di sentirsi tranquillamente fratelli, cugini e amici di ogni altro cittadino europeo anche se distante migliaia di km? Puo’, in altri termini, questo modo di pensare e di scrivere, rivolto al medioevo culturale, riuscire a dare una svegliata ad un popolo adagiato sulle sue terga e non propenso a correre verso il suo futuro?
Caro Belpietro, quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!