di Andrea Babini
Con l’elezione alle presidenziali americane di Donald Trump e l’avanzata di varie forme di populismo in reazione al pensiero progressista dominante, si è reso evidente un problema, che nei decenni passati le intellighenzie occidentali non hanno voluto affrontare con un dibattito aperto; la reazione di rigetto di ampie fasce della popolazione verso l’omologazione del politicamente corretto.
Nei fatti in questi anni sono state pochissime le voci che si sono elevate a scongiurare una deriva troppo spinta verso il controllo del linguaggio. Se devo citarne alcuni penso a Ricolfi e Robert Hughes con i loro “Perché siamo antipatici” e “La cultura del piagnisteo” e ad altri, pochissimi, giornalisti e uomini di cultura che attraverso la provocazione e il monito individuale hanno cercato di rompere la cappa asfissiante di questa pratica. Così senza neppure accorgercene ci siamo trovati confrontarci con espressioni come “femminicidio” o “genitore 1 e genitore 2”, o a preoccuparci di dire “sindaca” se la carica è gestita da una donna.
Come è successo tutto questo e quali sono le conseguenze? Proviamo a partire dal lessico; secondo la versione online del dizionario Treccani:
“L’espressione politicamente corretto è un calco dalla locuzione angloamericana politically correct, con cui ci si riferiva in origine al movimento politico statunitense che rivendicava il riconoscimento delle minoranze etniche, di genere ecc. e una maggiore giustizia sociale, anche attraverso un uso più rispettoso del linguaggio.”
Fermiamoci all’ultima parte un “uso più rispettoso del linguaggio”, ecco qui la definizione è a mio modo di vedere falsa e probabilmente lo è volutamente. Il politicamente corretto non si pone affatto l’obiettivo di “un uso più rispettoso del linguaggio”, quella al limite è la pretesa della buona educazione (che mai dovrebbe venire meno). Il politicamente corretto in realtà si pone il fine di alterare e manipolare il linguaggio e lo fa allo scopo di determinare dei cambiamenti radicali nelle opinioni diffuse, imponendo in modo quasi violento un’omologazione su determinati valori, privando al contempo gli altri di cittadinanza nel dibattito.
Ecco cosa è realmente il politicamente corretto, un grande inganno. In primo luogo nei confronti della realtà perché, come mirabilmente rileva Robert Hughes, “L’invalido si alza forse dalla carrozzella, o ci sta più volentieri, perché qualcuno ai tempi dell’amministrazione Carter ha deciso che lui è ufficialmente un ” ipocinetico”?”. In parole povere, questa pratica persegue il grande inganno di farci credere che sterilizzando il linguaggio ci si stia impegnando a risolvere il problema.
Ma, ovviamente, c’è molto di più, perché il politicamente corretto, occupandosi di “minoranze” o comunque di categorie definite di persone, porta a una disintegrazione della libertà generale. La nostra libertà dovrebbe basarsi su pochi valori e principi universali, condivisi da tutti e dotati di una forza tale che neppure la più legittimata istituzione possa pensare di conculcarli. Individuando “categorie” più o meno protette invece si definiscono dei “diritti” (che sono cosa ben diversa dalla libertà) per alcuni, garantiti dalla politica. Si mette di fatto la propria libertà nelle mani dello Stato, del Leviatano. Le ricadute sono terribili, anche se le stesse categorie “protette” non se ne rendono conto. Oggi si sentono forti della maggioranza nell’opinione pubblica, ma siamo certi che domani sarà così? E se i cambiamenti sociali, economici e storici dovessero individuare valori diversi e magari opposti a quelli attuali? Magari a loro svantaggio? La verità è che la libertà è prerogativa dell’individuo e non andrebbe mai categorizzata. Resta per me memorabile e assoluta la grande frase di Ayn Rand che a tal proposito affermò “La più piccola minoranza al mondo è l’individuo. Chiunque neghi i diritti dell’individuo non può sostenere di essere un difensore delle minoranze”.
E ora veniamo al pericolo maggiore connesso al politicamente corretto, almeno secondo il sottoscritto, la minaccia alla libertà di opinione e l’omologazione del pensiero. Perché una delle più recenti conseguenze del dilagare del conformismo politicamente corretto è stata (e poteva essere diverso in un fenomeno che si origina a sinistra?) che la spinta a un neolinguaggio sterilizzato non si è più basata solo sulla pressione psicologica, ma sono state introdotte norme e leggi che puniscono determinati tipi di espressione. Siamo allo Stato che decide come dobbiamo parlare e cosa possiamo dire. Badate bene che qui non mi interessa valutare se è moralmente sgradevole o no, per esempio, il linguaggio omofobo. Il punto è che se accettiamo che lo Stato decida cosa possiamo dire o non dire, dobbiamo prendere in esame il rischio che, cambiando il vento, potremmo un giorno essere costretti a dire cose che ci ripugnano. E questa in fondo era la finalità ultima dei “politicamente corretti”, definire un campo dove giocare la partita politica, costruito su misura per loro, costringendo gli avversari a misurarsi su un terreno che non gli è consono. Decidendo quali valori sono ammessi e quali esclusi dalla centralità del dibattito e, soprattutto, quali sono i fondamenti imprescindibili di una società “giusta”. E non è un caso che, coperti e ben nascosti da valori di facile presa e facilmente vendibili quali ecologismo, parità di genere ecc ecc, gli sciamani del politicamente corretto cerchino di imporne altri assai meno condivisibili come la ridistribuzione con alta tassazione, il ruolo dello Stato in economia e via discorrendo. Chiedetevi perché tra i “valori irrinunciabili” del politicamente corretto non ci sono pilastri fondanti della nostra civiltà quali il rispetto della proprietà, le libertà economiche, la non ingerenza della mano pubblica nelle faccende private e via discorrendo.
In parole povere, a mio modo di vedere, il politicamente corretto è un cavallo di Troia con cui le sinistre bocciate dalla storia hanno cercato (con successo) di imporci nuovamente le loro idee perdenti e liberticide. Cosa questa davvero grottesca, perché le categorie e i valori che affermano oggi di voler proteggere furono sempre pesantemente vilipesi dai regimi che facevano riferimento all’ideologia marxista. Basti pensare al caso Chernobyl in Unione sovietica per quanto riguarda il rispetto ambientale o a come il regime cubano trattava gli omosessuali.
E non può essere ignorato da chi, come liberale, persegue la verità oggettiva e non filastrocche ideologiche che il politicamente corretto è anche ipocrita nella convinzione alla sua adesione. I suoi stessi epigoni sono pronti a sconfessarne pacchianamente i precetti, facendo largo uso di intimidazione, violenza e rifiuto delle più elementari regole del gioco politico. Chi scrive qui non ama Donald Trump (è cosa nota a chi mi conosce), ma le manifestazioni aggressive delle femministe in tutto il mondo contro di lui in nome del “rispetto della donna”, quando non si muove una falange per i crimini, le vessazioni e le discriminazioni contro le donne perpetrati dai regimi islamici, è cosa che, come direbbe il mio amico Alessandro Leonardi, “fa salir la voglia di carezzar loro la testolina con commiserazione”.
Volete una misura dell’incompatibilità tra la visione “politicamente corretta” e la libertà nel senso più alto del termine? Vi basti pensare che in nome di questa ridicola sudditanza al concetto di minoranza abbiamo accettato che esistesse una “dichiarazione universale dei diritti dell’uomo musulmana” diversa dalla “dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” che vale per gli altri. Alla faccia dell’universale eh.
Come si risponde a questa deriva? Ammetto di non poter dire molto a riguardo; forse si risponde essendo coerenti con i principi di libertà. Sono però abbastanza sicuro che la risposta corretta non è cedere alla tentazione di appoggiare altre forme di omologazione liberticida, solo di segno opposto. Tanto meno appoggiando leader cafoni e maleducati (la buona educazione non è correttezza politica e non deve mai venire meno).
A ben guardare il “politicamente corretto” altro non è che una narrazione ideologica e io non credo proprio che la risposta vincente sia contrapporle una “narrazione ideologica” di stampo populista e di destra, specie se essa ha la pretesa di opporsi a fenomeni potenti e spontanei come la crescita di gran parte del mondo attraverso il libero mercato e la globalizzazione.
Posso dire come rispondo io. Non facendomi condizionare né dagli uni né dagli altri, continuando a non categorizzare la libertà in mille diritti né in un senso né nell’altro e mettendo, come suggerito da Ayn Rand, l’individuo e le sue prerogative davanti a tutto.
Rispettando ogni individuo in quanto tale e la sua libertà, io rispetto l’umanità più di ogni Gramellini o Fabio Fazio.
Se lo faremo in molti, questo fenomeno, anche se funzionale alle élite progressiste e alla loro pratica di uso mafioso del potere, per quanto resistente, si esaurirà. Perché nella storia umana la realtà ha sempre sconfitto le astrazioni artificiose.
Giuseppe Borgato
7 Feb 2017Quando esordisti con quella idea di lasciare l’associazione del Dito, ecco, rileggiti quanto hai scritto e convieni con te stesso che l’unica arma che abbiamo è continuare a dare voce ai nostri ideali di libertà usando tutti i mezzi lecitamente possibili, educando i nostri figli a a sgobbare duro per mantenersi liberi da chi li vorrà sempre ingabbiare.
Il primo strumento, il più forte, il primigenio, è la parola.
In inizio fu il verbo.
Quando ce lo saremo fatto portare via, saremo ciò che altri avranno deciso per noi, perché parleremo i pensieri che altri vorranno.
Grazie Andrea.
Giuseppe.