Gli eventi di questo inizio Febbraio presso l’Università di Bologna; gli scontri dei collettivi studenteschi, degli autonomi, degli antagonisti e, vogliamo dirlo, di tutta la feccia di piccoli spacciatori e delinquentelli seriali che quel mondo senza capo ne coda si porta dietro con le autorità universitarie prima e le forze dell’ordine poi, ci ripropongono uno schema e un’immagine anacronistica, grottesca e ridicola, per quanto tragica, della vita dell’università bolognese.
Purtroppo questo è il frutto di scelte precise fatte negli anni dalle amministrazioni di sinistra della città, che hanno coltivato, coccolato, favorito queste organizzazioni demenziali, ideologiche e ridicole. Il ciarpame ideologico e fuori dal tempo con cui questi, attempati, studenti si riempiono la bocca all’alba del terzo millennio è francamente penoso, penoso lo stile, penosa la retorica e penosi gli slogan. Eppure le amministrazioni citttadine, vuoi per contiguità ideologica, vuoi per semplice mancanza di coraggio non hanno mai mancato di foraggiare, elargire sedi e pagare le spese a codesti cialtroni.
Ne risulta una immagine odiosa dell’Alma Mater Studiorum, la nostra università cittadina, la più antica del mondo. Questa istituzione fu madre nobile della riscoperta del Diritto in Europa, e dell’idea di legge e di legttimazione dal basso del potere. Protagonista di quella grandiosa epoca di rinascita civile, sociale ed economica che fu l’epopea comunale italiana.
Bologna non è sempre stata quella che vedete oggi nei telegiornali e la sua università è stata capofila in Italia di un modo assai diverso di intendere la LIBERTA’ e la RIBELLIONE all’autorità. Un modo intelligente, ironico a tratti liberatorio; la Goliardia.
Ecco perchè, in onore della nostra università e della nostra città, per conservare a entrambe la dignità che meritano a dispetto delle imprese di questi teppisti da quattro soldi abbiamo deciso di pubblicare il 66simo paragrafo del nostro ultimo libro, in cui si raccontano le gesta di quei meravigliosi cultori della libertà individuale che furono i goliardi bolognesi:
LO SPIRITO DELL’ALMA MATER NEI TEMPI MODERNI. LA GOLIARDIA.
Cosa rimane oggi di quella Bologna? Ovviamente poco a parte le splendide vestigia della città medievale, come il portico di legno di Corte Isolani in Strada Maggiore, le torri sopravvissute, il complesso delle sette chiese di Santo Stefano e alcuni eleganti palazzi medievali miracolosamente ancora in piedi.
La struttura porticata della città, i complessi monumentali di San Francesco e di San Domenico, le tombe dei glossatori, i vicoli del ghetto ebraico, alcune porte della cerchia muraria sopravvissute all’abbattimento per far spazio ai viali di circonvallazione, la meravigliosa scenografia di Piazza Maggiore con la splendida mole della Chiesa di San Petronio, e la maestosa presenza del Palazzo Comunale e del Palazzo del Podestà ricordano una grandezza e un’epoca che non esistono più da secoli.
Dopo l’assimilazione da parte dello Stato Pontificio, Bologna divenne una città, ricca, certamente importante, ma non più protagonista. La storia prese altre strade; se è vero che fu teatro di fatti importanti come l’incoronazione di Carlo V, non si può ignorare che si trattò appunto di puro scenario degli eventi, non certo di una realtà che contribuiva a determinare l’andamento dei fatti.
Non mancarono bolognesi illustri in molti campi dalle scienze all’arte, dalla politica alle lettere, ma si trattò di esempi di genio individuale, non espressioni di una qualche peculiarità o tendenza cittadina generalizzata.
L’istituzione bolognese, che ha resistito più a lungo conservando fino a pochi decenni or sono un incontestabile prestigio è stata certamente l’università, quella Alma Mater Studiorum orgoglio della città. Oggi però pur essendo un’università di tutto rispetto, non occupa (come quasi tutti gli atenei italiani) posti di prestigio nelle classifiche delle università del mondo.
Forse il principale retaggio di quella vivace e splendida Bologna, che abbiamo cercato di raccontare in questo volume, è legato alla presenza in città di numerosissimi studenti “fuori sede”, i quali costituirono le nationes studentesche prima e le balle della goliardia in seguito (ma non vi è alcuna correlazione storica tra le due forme associative). Questo aspetto in effetti non è andato perduto; Bologna ha conservato lo spirito tollerante (e interessato) dei suoi cittadini verso le intemperanze degli studenti incapaci a volte di controllare al meglio la loro esuberanza e le tempeste ormonali.
Va chiarito che la goliardia medievale come tradizione storica ha però assai poco a che vedere con la goliardia moderna. I goliardi nel XII e XIII secolo erano detti anche clerici vagantes. Si trattava di preti o frati che, per falsa vocazione, abbandonavano il loro stato religioso per perdersi nel mondo, spinti da ambizioni mondane, per sete di libertà e di conoscenza, ma specialmente indotti da urgenti necessità materiali.
Il loro modello ideale e per alcuni primo goliarda della storia, fu Pietro Abelardo di Nantes autore di poemetti amorosi e opere di filosofia, mangiatore, bevitore impenitente e maestro di logica alla scuola di Parigi. Abelardo divenne protagonista di numerose canzoni medievali e la sua fama è arrivata ai nostri giorni perché, ormai quarantenne, si invaghì di una sua bella e giovane allieva, Eloisa, che sposò segretamente dopo averne avuto un figlio. Il canonico Fulbert, zio della ragazza, all’oscuro delle nozze e furioso per lo sfregio, lo fece evirare; i due amanti si ritirarono allora in convento, mantenendo un fitto carteggio epistolare fino alla morte. Abelardo ed Eloisa sono sepolti insieme a Parigi.
Simbolo del Clerico vagante medievale, Abelardo univa alla curiositas intellettuale, la passione per la vita mondana, attirando su di sé l’ira degli ecclesiastici più tradizionalisti.
I clerici vaganti erano il prodotto del risveglio intellettuale, operatosi in seno al mondo ecclesiastico, che si manifestava con l’istituzione di fiorenti scuole di grammatica, l’insegnamento della dialettica e la diffusione della cultura, che penetrava in profondità nelle coscienze, specie nelle nuove realtà cittadine dove sorgevano anche le università. La fitta rete di conventi, di chiese, di curie e di scuole monastiche creava numerose schiere di “scolari” e di “chierici”, ma molti di essi erano troppo smaliziati e scevri di vocazione per rassegnarsi a una vita umile e grama. Clericus era un’espressione che, più che una persona dedita alla religione, indicava un “dotto” e, per essere tali, costoro erano tenuti a vagare di città in città, da uno studium all’altro, alla ricerca dei migliori maestri e delle diverse discipline.
Insoddisfatti, senza lavoro né mezzi sicuri, erano malvisti dalla Chiesa che vedeva in loro degli spergiuri e dei dissoluti. Vivevano al di fuori della regolare compagine sociale, né preti, né laici, spesso nei pressi di qualche maestro e università di cui non potevano permettersi i servizi, incapaci come erano di uniformarsi a una condotta pratica. Ribelli all’ordine esistente, che li gettava ai margini della vita, essi non rispettavano le autorità ecclesiastiche e imperiali ed erano spietatamente anticlericali. Avventurieri per scelta, si facevano vanto della loro stessa sorte precaria, di darsi ad attività improbabili, come il giullare, sostenuti dalle loro capacità di eloquenza e di inventiva. La poesia “goliardica”, vero e proprio importante fenomeno letterario medievale, ci riporta queste condizioni e questa sensibilità con motivi anarchici e anticlericali dal tono irriverente; in essa si riprendono i temi della giovinezza, della vita libera, dell’amore, del vino e del gioco. Canti dal sapore libertino e sensuale in rotta con la società costituita e con le norme della morale comune.
In epoca moderna gli studenti universitari ripristinarono il termine “goliarda” per definire le loro attività giocose e sfrontate, richiamando anche a nuova vita qualche canto come i Carmina Burana, ma con gli antichi ed autentici goliardi poco avevano a che fare, sia come filosofia di vita che come spessore letterario.
Durante il settecento e l’ottocento gli studenti delle università italiane presero a riunirsi in “accademie”: gruppi, a cui si potevano aggregare anche i professori, che avevano come punto di riferimento caffè o salotti privati. Spesso i membri di un’accademia si riconoscevano per alcuni segni distintivi nell’abbigliamento. Alcuni di questi caffè e molti di quegli studenti furono protagonisti dei moti risorgimentali.
È sul finire del XIX secolo che, per primi in Italia, gli studenti bolognesi fecero proprio il termine “goliardia”, quando il movimento venne fondato sotto l’impulso di Giosuè Carducci, allora professore presso la locale facoltà di lettere. Nel giugno 1888 si svolsero i festeggiamenti per l’ottavo centenario dell’università di Bologna. Essi erano stati fortemente voluti dal Carducci sull’esempio della Germania, unificata anch’essa da pochi anni, che aveva sapientemente utilizzato i festeggiamenti di Heidelberg come vetrina per presentarsi al mondo in quanto nazione. I festeggiamenti, denominati Saecularia Octava, richiamarono a Bologna delegazioni di studenti e di professori da tutta Europa. I goliardi tedeschi, nelle loro uniformi delle confraternite, spiccavano in mezzo a tutti gli altri. Essi erano effettivamente gli eredi di quei clerici vagantes tanto osteggiati dalla Chiesa durante il XII secolo e tutti gli intervenuti furono profondamente impressionati da ciò che videro. Gli studenti francesi, per esempio, decisero proprio in quell’occasione di creare anche in Francia una tradizione goliardica, fino ad allora inesistente: nacque così la faluche, e nacquero i faluchards. Gli studenti intervennero a Bologna nelle loro varie delegazioni distinte per Università e ogni delegazione portò un dono. I goliardi di Torino portarono in regalo un’enorme botte di vino barbera, che sfilò per il centro della città in pompa magna posta su un grande carro trainato da quattro buoi inghirlandati. I goliardi di Padova, per evocare il loro Palazzo del Bo, sede dell’università di Padova, portarono in città un bue!! I goliardi di Pavia esibirono una forma di formaggio pesante più di settanta chili decorata con versi scherzosi in latino maccheronico. La botte di Barbera, il bue e il formaggio furono consegnati ai bolognesi con una fastosa cerimonia, e “sacrificati” per allestire un gigantesco banchetto.
Dopo la guerra e con l’avvento del fascismo, la goliardia, troppo libera e scanzonata per l’ideologia mussoliniana, fu duramente osteggiata dal regime. Del resto essa non si fece benvolere dai gerarchi. Riporta il giornalista Franco Cristofori che Achille Starace, dopo aver tenuto un discorso tutto “patria e sacri confini” ai goliardi bolognesi, vedendo numerose ragazze tra i presenti, affermò (forse in tono di scherno verso gli studenti borghesi) che “tra studenti e studentesse vi è una piccola differenza”. Non fu una buona idea: fingendo di portarlo in trionfo (come era usanza) i più robusti studenti se lo issarono sulle spalle, bloccandogli le braccia, mentre gli altri gli schiacciarono a turno i testicoli. Starace schiumava rabbia e ruggiva come una belva, ma per tutta risposta gli studenti gli gridavano “eccellenza ch’al staga ban chèlum, tra omen e don ai è una diffaranza da pòc” (Eccellenza si calmi tra uomini e donne vi è una differenza da poco). Questo aiuta a capire perché un libro, che parla di atenei e libertà non possa che dedicare un capitolo alla goliardia.
Dopo il periodo oscuro del ventennio fascista, la goliardia bolognese rifiorì in grande stile e raggiunse la sua più grande diffusione nell’immediato dopoguerra. Divenne sempre più in voga l’usanza dei papiri: veri e propri lasciapassare, che le matricole dovevano esibire per dimostrare di aver già “pagato dazio” agli studenti più anziani, sotto forma di obolo, ma più frequentemente di una bevuta offerta. Il papiro era spesso un vero e proprio piccolo capolavoro con bellissimi disegni sconci e frasi o versi, che ricordavano le imprese della “balla” di appartenenza.
Questa parte del racconto assume per me un significato personale: non sono mai stato goliarda, ma non potete immaginare il mio stupore quando bambino, a casa dei miei nonni, scoprii in un cassetto dimenticato il vecchio papiro di mio padre. Egli ha vissuto in prima persona l’esperienza studentesca in quella Alma Mater degli anni Cinquanta. Alcuni suoi amici, in particolare il compianto dottor Sergio Sacchetti, furono protagonisti entusiasti dell’attività goliardica di quegli anni. Il dottor Sacchetti ha lasciato all’università di Bologna uno splendido archivio fotografico storico di foto della goliardia del dopoguerra, archivio che si trova in rete e vi consiglio di sfogliare se volete farvi due risate.
Gli studenti cominciarono a riunirsi in gruppi dai nomi strambi e sulla base del luogo di provenienza o della facoltà di appartenenza. Questi gruppi organizzavano le iniziative e si occupavano di cooptare ed accogliere sotto la propria protezione le spaesate matricole. Così, ogni città universitaria dette vita ad un proprio ordine sovrano, chiamato a regolamentare le vessazioni ai danni delle matricole, nonché l’attività goliardica dei vari gruppi cittadini, denominati a seconda del luogo e delle circostanze ordini minori, ordini vassalli, accademie, vole e, a Bologna, Balle.
Una volta all’anno il capo-città indiceva la festa delle matricole del pro prio ateneo e invitava a parteciparvi le delegazioni di rappresentanza delle altre università.
A questo proposito, pare che la prima festa delle matricole risalga al XII secolo, in occasione del rientro in Bologna del rettore dell’università, a quel tempo importante guida della compagine studentesca. Narra la leggenda che “era stato precedentemente espulso dalla città per aver reiteratamente posseduto le mogli di alcuni notabili, strumentalizzandole come fonte di informazioni per poi smascherare e divulgare i maneggi più o meno legali dei consorti”. Insieme a lui fuoriuscirono, però, gli studenti in gran numero, mettendo così in crisi l’economia e la reputazione stessa della città. A quel punto il Comune fu costretto a richiamare in Bologna il rettore e i suoi compagni, i quali, come contropartita, chiesero ed ottennero l’extraterritorialità degli istituti universitari e degli altri luoghi da loro solitamente frequentati. Chiesero inoltre, che per alcuni giorni all’anno gli studenti potessero liberamente satireggiare e beffeggiare autorità e istituzioni di fronte a tutta la cittadinanza, la qual cosa spiega perché il giorno d’inizio della festa delle matricole il sindaco consegni simbolicamente la chiave della città ai goliardi. In quei giorni infatti i goliardi possono fare ciò che vogliono: scherzi, giochi, esibire stendardi e divertirsi come pare loro. A queste feste, con il ripetersi degli incontri tra gruppi di goliardi provenienti un po’ da tutta Italia, andò definendosi il gioco goliardico, un gioco basato sulla dialettica e, parallelamente, iniziò a prendere forma un canzoniere goliardico, che oggi conta centinaia di composizioni. Tutti gli atenei aderirono a questo nuovo modo di fare goliardia.
I goliardi si ritrovavano vicino ad un “fittone” (un paracarro per impedire il passaggio di auto e carrozze) in Via delle Spaderie, oggi scomparsa. Si trattava ovviamente di un richiamo fallico scherzoso e quel luogo divenne così simbolo del mondo universitario libero e irriverente; al punto che un prete in polemica con le autorità cittadine compose i seguenti versi:
Del nostro municipio questo è il cazzo,
e chi veder vuole i còglion, vada a Palazzo
I goliardi del dopoguerra furono un fattore importante per rianimare lo spirito cittadino, pubblicando esilaranti periodici ciclostilati, organizzando spettacolari feste delle matricole e imbastendo scherzi colossali tanto più ingegnosi, quanto più limitati erano i mezzi. Le rare volte che sono riuscito a strappare alcuni racconti a mio padre sono emerse iniziative al limite del 257 codice penale, perseguite con totale sprezzo dell’autorità e tollerate in modo incredibilmente indulgente, direi divertito, dai cittadini.
Un goliarda si appostò con bicicletta da corsa e tenuta iridata da campione del mondo a pochi chilometri dall’arrivo del giro dell’Emilia, aspettando il gruppo per poi “tirare la volata” dei Bartali e Coppi di turno (non è dato di sapere se tagliò per primo il traguardo). Furono organizzate spettacolari spedizioni in Romagna con centinaia di studenti, sempre in bicicletta, per intimare alla Repubblica di San Marino di arrendersi, con tanto di consegna di un ultimatum scritto alle autorità, chiamate in tutta fretta alla frontiera dalle preoccupatissime forze dell’ordine del Titano; tanto fu efficace lo scherzo che la cosa tolse il sonno, pare, al ministro dell’interno Scelba. Ho trovato tracce di una balla marchigiana che, travestendo i propri adepti da carabinieri e commissari di gara, avrebbe deviato il gruppo del giro d’Italia verso la campagna.
Ma il campione dei campioni fu Antonio Belletti che, nell’estate del 1948 vinse venti cene scommettendo che avrebbe orinato pubblicamente tra i tavolini del Bar Venezian in pieno centro, senza essere né insultato né picchiato. L’impresa fu giudicata impossibile e la scommessa accettata dagli amici. Essi non si erano accorti di ciò che invece non era sfuggito al furbo Tonino: il vespasiano in ferro situato sul marciapiede del Palazzo Comunale era stato spostato da pochi giorni di una ventina di metri proprio su richiesta del proprietario del bar. Costui, anzi, ne aveva subito approfittato per allargarsi occupando con alcuni tavolini lo spazio appena liberato. La sera convenuta e con tutti gli scommettitori appostati nei paraggi, Tonino se ne arrivò al bar facendo il cieco, e avanzò con calma fra i tavolini, tastando il terreno con la canna. Quando arrivò nel punto esatto, dove fino a qualche giorno prima sorgeva il vespasiano, si fermò, si sbottonò la patta e con perfetta indifferenza cominciò a orinare, fra l’imbarazzo dei clienti del caffè. L’apoteosi della genialità goliardica si espresse quando un cameriere, prontamente accorso, gli mise una mano sulla spalla per condurlo via: Tonino, senza neppure voltarsi, rispose forte “Occupato!”. Il cameriere allora gli spiegò all’orecchio che il vespasiano era stato spostato e lo guidò verso la nuova sede, ma fu una scena straziante, perché la minzione era ormai iniziata e proseguiva inarrestabile. Il “povero cieco” si allontanò esprimendo a gesti la propria umiliazione e la gente rimase davvero commossa, compresi i non pochi che, durante lo spostamento, furono “casualmente” irrorati.
L’indomani lo scherzo fu di pubblico dominio ovviamente e la città non poté che riderne a crepapelle. Questa era Bologna prima che l’ideologia, il 258
fanatismo e l’omologazione al pensiero unico la spegnessero del tutto. Qualcosa di quella Bologna, forse, la trovate nei malinconici o esilaranti film di Pupi Avati.
Purtroppo la vita goliardica non poté sopravvivere al Sessantotto, lo stile goliardico non era abbastanza “impegnato” e veniva considerato troppo frivolo dai “descamisados” ideologizzati di quell’epoca di scontri inutili e dannosi, fatti in nome di un’utopia tanto falsa quanto assassina.
La vera libertà tuttavia non era certo nelle violenze verbali e fisiche dei giovani fradici di follia ideologica, piuttosto si trovava nello spirito critico, anarchico, individualista e consapevole dei goliardi, il cui giuramento recitava:
“Goliardia è cultura ed intelligenza. È amore per la libertà e coscienza delle proprie responsabilità sociali davanti alla scuola d’oggi e alla professione di domani. È culto dello spirito che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di un’assoluta libertà di critica: senza alcun pregiudizio di fronte ad uomini ed istituti. È infine culto delle antichissime tradizioni che portarono nel mondo il nome delle nostre università di Scolari”.
Un liberale sarà sempre molto più goliarda che sessantottino.
marcello
12 Feb 2017spettacolare quella di Belletti…… non la sapevo…
Piero Paltrinieri
12 Feb 2017Vi scrivo dall’Australia…. sono stato l’ ultimo Magnus Magister quando la Politica degli “anni sessanta ” voleva …. stroncare la Goliardia . Si frantumò tutto . Piano piano decisi di andarmene dall’Italia …. prima India e dintorni e poi Australia . Ho ricordi bellissimi e le rare volte dei viaggi in Italia mi portano subito a ricercare gli Amici Goliardi di un tempo per rispolverare ancora allegria, un bicchiere di vino e il ricordo della Festa delle Matricole ….prima o poi ritornerò… Gaudeamus
Felsinea
12 Feb 2017Magnus! Ritorna a maggio per la Festa, c’è ogni anno. Puoi trovare info dal SVQFO su Facebook
Piero Paltrinieri
12 Feb 2017Grazie … spolverare questi ricordi di quaranta anni fà … mi hanno riportato l ‘allegria di quel tempo
Piero Paltrinieri
13 Feb 2017sono già in Italia e a giorni sarò a Bologna….Gaudeamus
Marco
14 Ott 2019Nel medioevo era protesta, ora una pagliacciata per studenti fuori corso…
flavio spalletti
3 Lug 2020ciao…forse ci conosciamo…arrivai a bologna nell’ottobre del 1958.. iscritto a chimica industriale, cavaliere ( e basta) della Cricca Marchigiana…ho tanti bei ricordi di allora e delle sbronze che finivano la notte con le gare di carretti da lavoro fatte dalle contrade marchigiane più importanti attorno al piastrellato della Piazza Maggiore, e così via ..e il “moschetto” che vantava decine di bolli…per un lascito…a vita, finché avesse studiato, da parte della nonna… e ora chiudo con Athos Tabuani (?) che girava nudo a una festa delle matricole vestito di una botticella di legno con bretelle….. ti lascio qui,
Alessandro
6 Gen 2022Credo che parliamo di mio zio Tabuani Athos fratello maggiore di mio padre !