di Roberto Bolzan
Poiché pensiamo che l’era del petrolio sia al termine, se non finita ormai, sentiamo di avere avuto la fortuna di alcuni incontri che ci hanno tattilmente presentato le immagini vive ed il senso ineluttabile della fine dell’epoca. La fine è sempre interessante, come gli inizi, ed entrambi adatti agli spiriti inquieti.
E allora ci è venuto in mente un film di qualche anno fa, visionario come non mai, e spaventoso, nero di olio denso e lucido, volutamente e coscientemente ruvido e bello.
E’ la storia di Daniel Plainview, la cui vista piana non gli impedisce di essere felice di vivere nel deserto dopo che il deserto l’ha creato e diffuso intorno, radendo al suolo qualunque rapporto umano. Anzi, è forse proprio la sua visione piana a permetterglielo.
L’inizio è terribile e nello stesso tempo un pezzo superbo di cinema, muto e grigio argento e nero. Quindici minuti e nemmeno una parola, solo luce densa e silenzio. Daniel Plaintview è sepolto nelle viscere della terra, con il piccone estrae scintille d’argento, scende nel pozzo e diventa buio come il buio, sistema la dinamite e risale alla luce e diventa luce, la dinamite esplode e diventa polvere come la terra, finché erutta il petrolio e diventa come l’olio, nero, lucido e grasso.
Plainview, con una gamba spezzata e una fatica da pionieri, scova un giacimento di petrolio, escogita la tecnologia della trivellazione, scava il suo primo pozzo, diventa signore indiscusso di una piccola comunità, squadre di uomini che lavorano per lui, che si muovono con lui, città intere che si spostano nello sconfinato paesaggio americano . Poi scopre altro petrolio ancora, e compra terreno per chilometri intorno, a prezzi stracciati.
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