Ci si imbatte a volte, verso la fine di un film per altri versi dimenticabile, in qualcosa che ci fa alzare dal divano, cercare il telecomando e tornare indietro a risentire cose alle quali le nostre orecchie non hanno inizialmente potuto credere.
Succede in questo film al minuto 1:40:00, vale a dire dopo 100 minuti di assoluta accademia.
Cate Blanchett recida da par suo, vale a dire da australiana falsa bionda (pare sia bionda veramente, ma l’istinto non sbaglia, credetemi, è falsa e quindi pure demoniaca), vale a dire su un binario prevedibilissimo e senza alcuna emozione.
Per capire cosa abbia risvegliato la nostra attenzione, al punto da parlarne qui, dobbiamo partire dall’inizio.
Nel 2005 il celeberrimo Dan Rather (Robert Redford) rassegnò le sue dimissioni dalla CBS in seguito alle accuse mosse dopo la messa in onda di un servizio che metteva in discussione l’appartenenza di George W. Bush alla Guardia Nazionale Aerea durante la guerra nel Vietnam. Responsabile di quel servizio era Mary Mapes (Cate Blanchett), una produttrice televisiva che, per il programma giornalistico “60 Minutes”, aveva realizzato molti storici scoop con grande intuito giornalistico.
In sostanza, lo scoop era basato su notizie non verificate (documenti grossolanamente falsificati, testimoni poco attendibili) e l’effetto sulla CBS è stato devastante, al punto da indurre l’istituzione di una commissione d’inchiesta.
E’ proprio davanti a questa commissione che, al minuto 1:40:00, Mary Mapes pronuncia le parole che ci hanno fatto sobbalzare.
“Non mi chiedete delle mie idee politiche?” I rappresentanti dell’establishment erano già tutti alzati, la guardano accigliati e si risiedono.
Mary Mapes spiega perché quel documento ha richiesto molto lavoro per essere contraffatto, e poi: “Voi davvero pensate che una persona che impiega così tanto tempo e precisione poi si metta a scrivere i documenti con Microsoft Word?
La nostra inchiesta voleva scoprire su Bush avesse assolto ai suoi obblighi. Ma nessuno vuole parlare di questo. Vogliono parlare di font, di contraffazione, di cospirazione nell’ombra. Perché questo è il metodo che si usa oggi quando un’inchiesta non piace. Si punta il dito, si sbraita, si contesta la tua idea politica, la tua obiettività, la tua filosofia di vita e di prega Dio che la verità vada persa in questa melma. E quando si arriva alla fine e tutti hanno scalciato e urlato talmente forte, nemmeno ci ricordiamo di cosa stessimo parlando”
Establishment: “Ma voi non l’avete dimostrato. Non avete dimostrato che Ben Barns avesse raccomandato il presidente. E neanche che i documenti siano autentici. L’obbligo della prova spetta a voi.”
MM “In base a questo standard il Times non avrebbe mostrato i documenti del Pentagono. Il Post non avrebbe sentito questa proposta.”
Al minuto 1:44:00 il film torna alla sua noiosa banalità ma non senza il colpo di coda finale.
Establishment “Non crede che sia possibile che qualcuno, almeno una piccola percentuale di questi giovani che si sono arruolati nella guardia nazionale ci sia arrivato solo per proprio merito?”
MM “No signore. Non lo credo”
Capite, vero? non sentite l’eco delle parole di Pasolini (Io so. Non ho le prove ma so) nella sicurezza che la reporter mantiene, accusando i suoi accusatori, negando di avere fatto un errore? perché lei sa, il regista sa, tutti sanno che Bush è colpevole. Non servono le prove.
Non avete mai sentito queste parole: “non servono le prove, le prove servono in tribunale?”
Nello stesso tempo questi quattro minuti contengono una seconda verità, espressa dalle parole: “si punta il dito, si sbraita, si contesta la tua idea politica, la tua obiettività, la tua filosofia di vita e di prega Dio che la verità vada persa in questa melma. E quando si arriva alla fine e tutti hanno scalciato e urlato talmente forte, nemmeno ci ricordiamo di cosa stessimo parlando”
Non avete mai visto applicato questo metodo? Io si, quotidianamente. E non solo da bionde di sinistra.