Da molto tempo avremmo voluto scrivere di questo film. Approfittiamo della proiezione pubblica in Piazza Maggiore, con la presenza del regista, per parlarne, dopo 40 anni dalla prima visione.
Dobbiamo dire che, quando Coppola ci ha presentato la sua nuova versione allungata di 25 minuti ci siamo sentiti mancare, ricordando le micidiali lentezze della seconda parte del film e temendo l’aggiunta di psicologismi poco compatibili con la scomodità dei seggiolini che dispongono nella piazza.
Il film, come tutti sanno, è stato prima sceneggiato da John Milius (un vero regista, ricordiamo Un mercoledì da leoni, tanto per restare in tema) sulla base del romanzo breve Cuore di tenebra di Conrad.
E’ la storia del capitano Benjamin Willard (Martin Sheen) che viene incaricato di rintracciare ed eliminare il colonnello Walter Kurtz (Marlon Brando) che, nella giungla cambogiana, ha costituito un esercito irregolare con il quale compie atrocità di tutti i tipi mettendo in imbarazzo l’esercito americano (non ridete).
Dopo una serie di stupidaggini (l’attacco con gli elicotteri che diffondono le note di Wagner, il surf sotto le pallottole e le bombe, quelle scene che conoscete bene e che sono tanto amate dagli studenti del DAMS) il capitano Willard inizia il viaggio nel grande fiume.
Ma c’era un fiume, un gran fiume, che sulla carta sembrava un immenso serpente dritto, con la testa nel mare, il corpo strascicante lontano sopra un paese vastissimo e la coda perduta nell’ignoto.
Così lo introduce Conrad. Ebbene, il viaggio è interminabile e, nella versione allungata, ancora di più. Sono state aggiunte scene di una famiglia francese (la signora immediatamente si corica con il colonnello) elegantissima e coltissima in mezzo alla giungla. Ce n’era bisogno? vi dico subito di no.
I simboli si aggiungono ai simboli, la Cambogia assomiglia sempre più all’Africa, dalla quale il film mai sarebbe dovuto uscire.
Si arriva finalmente nella tana del mostro, dove si viene accolti da Dennis Hopper carico di macchine fotografiche e visibilmente schizzato. Arrivati vivi fin qui, se siete riusciti a trattenere le risate, inizia il sancta sanctorum.
Marlon Brando, tra nebbie e fumi colorati, di tanto in tanto rischiarato da una sciabolata di luce, legge La terra desolata mentre la camera si sofferma sulla sua pregiata biblioteca dove, per fare capire di cosa stiamo parlando, inquadra Dal rito al romanzo della Weston, Il ramo d’oro di Frazer e altre coltezze. Hopper, di rimando, declama “non con un bang finirà il mondo ma con un sigh”.
Al termine Willard uccide ritualmente Kurz e prende il suo posto mentre contemporaneamente i cannibali sacrificano un toro. Capita l’allusione? bravissimi.
Non ricordavamo male. Il film è detestabile sotto quasi tutti gli aspetti, prima di tutto per essere confezionato apposta per gli studenti del DAMS, strizzando l’occhiolino alla cultura intesa come declamazione teatrale di testi importanti. Le riprese telefonate per dire “guardate come sono colto” ci danno un fastidio terribile. Le macchiette per fare vedere quanto la guerra sia brutta e cattiva, altrettanto.
Che poi, il film è tutt’altro che antimilitarista, a discapito della violenza delle immagini. Le stesse sua sorgenti intellettuali (Weston, Frazer, appunto, il mito. Eliot non ne è altro che il condensato) giustificano la guerra attraverso il mito. La guerra come attività simbolica connaturata all’umano.
E poi la figura del colonnello Kilgore (Roberto Duvall), quello del surf.
Kilgore è il personaggio più positivo del film, forse l’unico. Lui sta lì perché ci deve stare e nello stare lì cerca di tenere in piedi il suo sistema di valori contro ogni circostanza. I generali ottocenteschi giocavano a scacchi mentre i mortai fischiavano nei paraggi e Kilgore pensa al surf mentre il napalm si gonfia e divora la giungla dietro di lui. La guerra è sempre stata un lavoro, insomma, e nei lavori ci si abitua a tutto.
Rimangono, del lungo viaggio, alcune belle immagini allucinate, il tono fortemente espressionista, di ombre nere e sciabolate di luce accecante, quasi da cinema tedesco delle origini, anche se con troppa compiacenza per i fumi colorati e le nebbioline Ma è più una collezione di scene madri autocompiaciute che una sceneggiatura intelligente.
Riassumo: inizio spettacolare con scene da gonzi, del tutto inutili; svolgimento lentissimo costellato da brevi scenette disarticolate fra loro; tanta tanta cultura nel finale.