“Un mercoledì da leoni” di John Milius (1978)

I temi sono gli stessi, il surf e il Vietnam, ma trattati in maniera completamente diversa.
Mi riferisco ad Apocalypse now e a Un mercoledì da leoni, entrambi sceneggiati da John Milius, forse il più pagato tra gli sceneggiatori americani dell’epoca.

E’ la storia di tre campioni di surf. Il teatro delle loro imprese è il mare californiano con le sue lunghe onde.
I tre hanno problemi sentimentali e di vita, poi arriva il Vietnam e uno è costretto ad andarci.
Dopo alcuni anni si ritrovano insieme su una spiaggia per la loro ultima esibizione, che è trionfale.
Ma il tempo del surf è ormai finito.

Le quattro grandi mareggiate che colpirono la California nel 1962, nel 1965, nel 1968 e nel 1974 costituiscono il canovaccio su cui si svolgono la loro crescita e il loro cambiamento attraverso gli anni sessanta e settanta americani. Si tratta quindi di un’opera intimistica nella quale i sentimenti sono personali e intimi e l’evoluzione interiore di ciascuno dei componenti del piccolo gruppo è il vero tema narrato.
Coppola con grande fatica costruisce la sua opera e la visione ne risente pesantemente. Non ancora soddisfatto sente il bisogno di appesantirla con ulteriori 55 minuti di introspezioni a estenuare una simbologia che nel frattempo si è persa per strada. Deve quindi ricorrere a mezzucci mediocri come Dennis Hopper carico di Reflex e cavalcate delle Valchirie per incantare i semicolti. Alla fine l’opera scoppia per eccesso.

Milius non ha bisogno di niente di tutto questo. Il mare, le bionde, le onde, la sabbia, le giornate sensate o balorde di ciascuno di noi sono ingredienti più che sufficienti per il romanzo della vita. Asciutto e piano, del tutto privo di retorica, che non serve, semplice e pieno di sentimenti, come dev’essere.

Non c’è bisogno che le poesie siano recitate: la perfezione tecnica e stilistica delle riprese e la bellezza del set sono esse stesse poesia, senza bisogno di certificati. Il West vissuto a cavallo di una tavola e il mare invece delle dune e dei cactus del deserto. E al di là del West, ché il mare rende la storia universale, ambientata in ogni tempo e in ogni luogo.

Come l’altro film prende ispirazione da un romanzo di Conrad anche per questo si riportano ascendenze letterarie, Steinbeck o Melville, ma qui la materia è originale, non copiata, digerita per bene e riproposta in una versione nuova della grande storia umana, più grande della vita stessa.
Milios si ricorda che siamo al cinema, immagini quindi, niente libri.

E, credetemi, c’è più guerra, più Vietnam in questo film, dove non c’è nemmeno una scena di battaglia, che in tutto il napalm e i villaggi vietcong che abbiate mai visto.

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