“Blow Out” di Brian De Palma (1981)

Ieri sera abbiamo appreso che uno dei nostri affezionati lettori non conosce questo film.
L’occasione ci è ghiotta quindi per richiamare questo notevolissimo lavoro di uno regista che amiamo molto.
Notevolissimo è dir poco perché come sempre con De Palma siamo di fronte a opere che agiscono a vari livelli e sempre al massimo.

Fin dalla trama il film è hitchcockiano.
Jack Terry è un tecnico del suono per delle produzioni di serie B ed è alla ricerca di effetti sonori particolari. Mentre è sulle sponde di un torrente in un parco, il suo sensibilissimo microfono capta il rumore di un’auto che sbanda e piomba in acqua.
Riesce a salvare la ragazza rimasta intrappolata fra le lamiere ma non il governatore dello stato, candidato alle elezioni presidenziali.
Riascoltando la registrazione Jack scopre il rumore di uno sparo che precede l’incidente.
La polizia rifiuta la sua scoperta e Jack decide di indagare per conto suo. Scoprirà così che la ragazza che ha salvato era stata mandata ad arte nell’auto del governatore per comprometterlo e scoprirà una vera e propria congiura che sotto il pretesto di moralizzare la vita pubblica, annovera fra i suoi partecipanti un maniaco sessuale, strangolatore di donne.

Insieme a Vestito per uccidereOmicidio in diretta fa parte di quel filone che indaga sul mezzo espressivo facendolo diventare spettacolo. Ogni suo film di quel periodo ci porta a queste riflessioni, poiché le molteplici architetture del visibile all’interno dell’immagine diventano oggetto di analisi. In questo caso è il suono che diventa protagonista, insieme alle macchine usate per registrarlo e riprodurlo.

Grazie a queste la finzione viene smascherata e un giovane John Travolta si trova a sbrogliare una complicata vicenda di macchinazione politica.
Il thriller si svolge secondo tutte le regole di scuola ma la verità non verrà svelata.
In un complicato e inesorabile gioco di specchi De Palma ci svela la soluzione, , a noi spettatori, ma lo stesso non avvinerà nella storia che nello schermo continua senza che gli attori ne siano a conoscenza.
La trama non prevede che il mistero sia svelato così come nemmeno che la vittima predestinata sia salvata.
Alla fine l’assassino viene ucciso portandosi il segreto nella tomba e noi spettatori rimaniamo mortificati a conoscenza di un segreto sbirciato, che non avremmo dovuto conoscere. Siamo occhi e orecchie indiscrete che il regista mette a conoscenza della soluzione dell’enigma mentre lo sta scrivendo. Siamo suoi complici, collaborando alla stesura di un racconto che non si svolge come vorremmo.

Insomma, ad un certo momento il film diviene doppio. Noi spettatori conosciamo il colpevole e sappiamo come deve finire la storia; gli attori intanto continuano a recitare inconsapevoli, senza controllo. La vita reale si svolge sullo schermo, con le sue ingiustizie e i misteri non risolti. Noi spettatori siamo la finzione del racconto, personaggi di carta soggetti alle leggi del genere.

De Palma rovescia il guanto della  realtà con bravura mostruosa, non dubitate nemmeno un istante; v’infila uno scalone e la Liberty bell e voi siete nel campanile de La donna che visse due volte. Ed è gigione ma mai stucchevole nelle scene dell’accoltellamento nella doccia, ripetute più volte a rimarcare un marchio di fabbrica che è quasi ormai più suo che di Psycho.

A voler essere colti, il film ha un andamento circolare che viene sottolineato più volte dall’andamento della camera; la prima quando nel laboratorio gli strumenti vengono ripresi con un lungo piano sequenza circolare mentre i nastri girano a vuoto, in un rimando vertiginoso; la seconda nel finale quando la camera gira intorno a Jack con lo sfondo del cielo nero con fuochi artificiali. Noi non siamo colti ma ci godiamo lo stesso una sequenza che chiunque altro avrebbe reso melensa e che invece risulta superba e dolorosa.

 

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