di Roberto Bolzan

La lingua italiana non ha avuto chi la portasse nella modernità. Non ha avuto il suo Celine a renderla moderna e viva. La letteratura italiana, quella del dopoguerra, è antica, desueta. Gli ingegnerismi di Gadda, i Gozzano e perfino gli sperimentalismi di Piovene, così come gli altri, parlano ancora con la lingua del voi.
L’italiano moderno attende il suo Alighieri ma invano, credo. La storia d’Italia è cantonale, meglio ancora comunale e sono le mille sfumature del dialetto ad essere veramente lingua. Nella lingua parlata certamente no ma la letteratura precede sempre e dona la visione dei tempi che verranno.
Tant’è che, nel bene e nel molto male, finiti gli anni eroici, il cinema italiano è ugualmente rimasto vivo grazie alla parlata dialettale, e solo negli accenti regionali e locali si esprime veramente.
L’italiano del cinema è bisbigliato, intensificato nel significato e nel significante, dialoghi da tesi di laurea, personaggi di un tempo borghese ormai andato o macchiette comiche.
Il colpo di genio di Rovere è di usare il latino. Il protolatino bisbigliato ha un effetto totalmente diverso dall’equivalente in italiano e nasconde gli effetti di una recitazione scolastica ed inadatta. La rende invece interessante, soprattutto per chi volesse richiamare qualche eco del liceo..
La storia, Romolo e Remo che combattono contro gli Albani e fondano Roma con il sacrificio di sangue richiesto dagli dei, è bellissima. Il mito è rappresentato senza sussiego, la storia sacra che si fa nella carne e nel sangue degli uomini.
Poi Rovere ha intelligenza e sa come mettere la dose giusta di sangue e raccapriccio. Il contesto igienico-sanitario è desolante, gli attori spettinati e barbuti hanno il fisico. Luci, costumi e scenografia non deludono, anzi.
Il film dura due ore. Passano veloci e piacevoli.