di Roberto Bolzan
Amiamo fra tutti Walt Whitman ed il canto della libertà. E nessuno l’ha cantata meglio di Woody Guthrie.
Il film è la vera storia di Woody Guthrie, cantante e suonatore di chitarra. Siamo nel 1936, l’America sta vivendo il momento drammatico della grande crisi. Unitosi ad altri disperati come lui, prima come clandestino sui treni merci, poi su sconquassati camioncini carichi di masserizie, raggiunge finalmente il Sud, dove trova un precario lavoro come raccoglitore di frutta. Si unisce a una squadra di disperati come lui. Lotta con loro per un migliore trattamento nel lavoro. Viene scoperto dal padrone di una radio; col suo talento potrebbe aver successo se si integrasse, ma preferisce sostenere con le sue canzoni le lotte dei lavoratori. Rinuncia a Mary e preferisce andarsene vagabondo per l’America, a cantare.
E’ l’America che amiamo, l’America dei vagabondi pronti a saltare su un treno in corsa e dei vigilantes armati di manganello, l’America sterminata delle pianure, quella delle metropoli, delle tempeste di polvere, del sogno californiano, delle giornate infinite e degli spazi immensi, quella dove un uomo poteva sentirsi solo e parte di un tutto e libero. E’ l’America di un tempo, breve, dove esistette una sinistra libertaria e anticomunista.
Abbiamo letto e amiamo John Steinbeck, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, ed ascoltiamo e amiamo Bob Dylan e Bruce Springsteen ed abbiamo visto anni fa e rivediamo oggi ed amiamo questo film.