di Roberto Bolzan
In un romanzo di Stephen King un ragazzo percorre un’America sotterranea per recuperare il talismano che serve per guarire la madre malata di cancro. Nel Talismano il mondo sotterraneo è separato da un cielo di vetro dal mondo che conosciamo ed è allusivamente francofono. L’infero si irradia dall’Acadia degli ugonotti ed a noi è sempre piaciuto pensarlo con degli hot spot sparsi nel continente, dove il male antico si manifesta ancora, più vicino ai riti Micmac o Seminole che al nostro mondo.
Spiace tornare su autori già celebrati, ma non troviamo altro di interessante in questa vigilia di elezioni americane per parlare sempre di America ma in un altro modo che di una competizione triste e squalificata. O forse ci sbagliamo e non è triste e squalificata ma vitale in modo inaspettato; chi può sapere di questi corsi sotterranei, chi può sapere come l’antico sapere si può manifestare ai nostri occhi miopi?
Southern comfort narra di questo, senza perdersi in chiacchiere.
Nove soldati della guardia nazionale della Louisiana partono per un’esercitazione all’interno di una sterminata palude. Ad un certo momento decidono di appropriarsi di alcune canoe. Il gesto scatena una violenta e improvvisa reazione da parte dei Cajuns, i discendenti dei rifugiati canadesi del 1700.
Un proiettile colpisce il sergente, uccidendolo all’istante. Da qui prende il via una guerra sempre più crudele e spietata tra i soldati da un lato che vogliono vendicare il loro capo, e i Cajuns dall’altro che non vogliono intrusi nei loro territori.
Questi sono bene armati, conoscono la zona e si muovono rimanendo sempre nascosti, quelli si rendono ben presto conto di non avere più orientamento, privi della bussola, della radio e con pochi proiettili per difendersi.
La situazione di evidente inferiorità, la sensazione di combattere contro un nemico sfuggente ed invisibile creano tra i soldati tensione e nervosismo: la paura genera risentimenti personali, fa esplodere conflitti di potere, l’amicizia cameratesca lascia il posto ad un rancore che diventa odio.
Altri sei di loro muoiono di morte violenta,
I due superstiti credono di essere salvi quando, raggiunta finalmente la strada ai margini della palude, chiedono soccorso ad un camioncino di passaggio. L’uomo alla guida li riporta nel villaggio dei Cajuns proprio mentre è in corso una festa. Il sollievo dei due è di breve durata: braccati ancora dai più accesi dei Cajuns, i soldati lottano strenuamente.
Scorgendo l’arrivo di un mezzo dell’esercito americano gli corrono incontro: ma anche questo li abbandona al loro destino….
Film da odorare, da sentirne il fiato aspro in faccia e da mandarne giù il sapore torbido e acido, di sudore rancido e di calore acqueo e terroso, di consistenza fangosa e putrida.
Un’opera grandiosa, di violenza inaudita e di una tensione continua, senza soluzione, senza finale, senza salvezza. Una molla che si carica per un’ora e mezza per poi deflagrare nel finale, accompagnata dal suono allegro della ballata Cajun.
Vi piacerà, credetemi.
Walter Hill aveva da poco girato I guerrieri della notte (The Warriors) con i quali era diventato famoso e qui, sullo stesso impianto classico (l’Anabasi), ne reinventa completamente il significato e completa la sua opera consegnando una visione totale e drammatica del suo paese.
Gli Stati Uniti, così globalizzati e civili, sono in realtà ricchi di nicchie, di enclave sconosciute e ostili, dove le antiche tradizioni locali sono più forti del governo federale, delle forze dell’ordine e di tutte le istituzioni. Dove lo stato non esiste.