di Roberto Bolzan
Ci interroghiamo sempre su come nasca un capolavoro e se ci siano delle leggi scientifiche che consentono di fabbricarne uno a comando. E pensiamo all’autore che si mette a tavolino e, con tutta l’intelligenza e la furbizia del mondo, pianifica il capolavoro. Non funziona così.
Il capolavoro è fatto di bravura, certo e ovvio, ma anche di fortuna, di ispirazione, di amore, e poi di fortuna e del caso, e fortuna e caso rendono ogni capolavoro qualcosa di unico ed irripetibile.
Inutile quindi smontare i film e analizzarli fotogramma per fotogramma, alla ricerca del segreto nascosto. Non è questione di montaggio o di inquadrature, esattamente come da una radiografia non si coglie l’anima di una persona. E noi restiamo con la domanda del perché continuiamo a vedere questo film senza mai stancarcene e di cosa abbia di tanto straordinario. Eppure, è così, e siccome non riusciamo a staccarcene, ve lo consigliamo.
Jack Dawn è un mafioso che non ha saputo tacere. Prima che gli arrivino in casa i killer consegna il piccolo Phil e un quaderno-memoriale alla vicina di casa.
Gloria (Gena Rowlands) è una donna di mezza età, ex-showgirl e amante di un gangster, che vive nel Bronx di New York. Odia i bambini, come Phil non apprezza le donne: i due si troveranno a dover sfuggire insieme alla caccia dei criminali.
Per difendere il ragazzo, Gloria diventa un’abile pistolera e, alla fine, riesce a rifugiarsi a casa di Tony, un boss di cui era stata amante. Ma proprio lì trova ad aspettarla lo stato maggiore del clan mafioso.
Nel corso di una fuga disperata fra le strade di New York, la cinica Gloria scoprirà in sé un insospettabile istinto materno e non esiterà a sfoderare la pistola contro la banda di gangster pur di proteggere la vita del piccolo Phil.
Allontanandosi dal cinema a lui più familiare, John Cassavetes realizza un gangster-movie di notevolissima fattura dove i risvolti psicologici dei personaggi contano molto più delle pistole. Straordinaria Gena Rowlands, impermeabile alla Bogart e durezza alla Dietrich ma anche sensuale e femminile fin nell’anima. Un film che il regista considerava “roba con una sceneggiatura da televisione”, apparentemente ordinario e scritto per la Columbia per motivi principalmente economici, diventa il suo capolavoro quasi imponendosi per vita propria, nonostante l’uscita in sala un anno dopo la fine della produzione, nonostante l’Oscar mancato, nonostante tutto.
Il film è totalmente centrato sulla figura di Glora alla quale fanno da sfondo una New York di quartiere, completamente lontana da quella alleniana (fanculo Woody Allen), violenta e umanissima, senza retorica, senza abbellimenti, senza nulla se non sentimenti di base, l’istinto materno svegliatosi potentemente e la paura ed il dolore, il bisogno di protezione del bambino. La sensualità senza esporre nulla e l’amore senza che ci sia bisogno di dichiararlo.
Da vedere insieme all’omonimo e scialbo remake del 1998 di Sidney Lumet con Sharon Stone. Inutile fare il confronto, e senza nulla togliere alla ottima interpretazione dell’attrice; semplicemente su uno si è posato l’angelo del Signore, e questo fa la differenza.