di Roberto Bolzan
Film crudelissimo e terribile, nero, vero hard-boiled girato non negli anni ’40 ma nei ’70, con la stessa implacabile netta precisione di un romanzo di Hammett.
Bei tempi quelli! impressionati dal metalinguismo oggi si fanno i film con troppe intenzioni ed una storia come questa diventerebbe il pretesto per colte citazioni, mentre gli attori farebbero esercizi di bravura fini a sé stessi. E il male, invece di riflettersi nello sguardo di Jack Nicholson, sarebbe illustrato con uso di trucchi e animazioni.
Film di trama, quindi. L’investigatore J.J. Gittes (Jack Nicholson) viene assoldato da una donna che si presenta come la signora Evelyn Mulwray per investigare sulla presunta infedeltà del marito. Il giorno dopo la vera moglie di Mulwray (Faye Dunaway) si fa viva e revoca il mandato. Quando il marito viene ritrovato annegato in un bacino idroelettrico, Gittes inizia ad indagare su strane storie di acqua che apparentemente viene utilizzata per irrigare dei terreni agricoli ma in realtà viene dispersa. Il tutto è legato ad una speculazione edilizia in corso di cui è capofila il padre di Evelyn, Noah Cross (John Huston). Gittes decide di scoperchiare questo sistema di malaffare per scoprire delle realtà inconfessabili sulla famiglia Cross. Nella fuga di Evelyn con la sorella, a Chinatown succede l’irreparabile, con la sconfitta di Gittes.
“Lascia perdere Jack. È Chinatown.” sono le ultime parole del film; un mondo senza regole dove è quasi impossibile descrivere la violenza sociale, politica, morale, estetica e fisica in cui si avvolge tutta l’opera.
Gittes si muove come il classico eroe tragico: solo contro tutti, alla ricerca della verità, non accontentandosi solo di trovarla, ma con la volontà di usarla per assaltare il cielo, facendo cadere i veri pesci grossi che muovono i fili di un teatrino fatto di morti, speculazioni, tangenti, affari milionari. La sua caduta è tanto più tragica quanto maggiore è il suo tasso di genuino idealismo, e ne rimane sconvolto.
A oltre quarant’anni dalla sua uscita originaria Chinatown ha mantenuto inalterata tutta la sua cupa bellezza, insieme a quell’aura mitica che si addice ad un’opera fuori dal tempo, in grado di stupire, coinvolgere ed ammaliare ancora oggi come quattro decenni fa.
Parleremo anche del Il lungo addio di Altman, girato appena un anno prima: stesso genere ma con l’intento di decostruirne il canone con ferocia iconoclasta. Con Polanski siamo ancora nel cinema classico, capace di raccontare in maniera sublime, implacabile nella sua rigorosità. Dialoghi scattanti, densi, carichi di informazioni eppure comprensibili, come da tradizione.Fotografia e ottiche straripanti. E infine la regia in sé, la perfezione formalista in una delle massime espressioni del cinema di ogni tempo.