di Roberto Bolzan
Il film dura 155 minuti, oltre due ore e mezza.
Si apre con la feroce, cruda e violenta sequenza della ribellione degli schiavi sulla Amistad, nave negriera che li stava trasportando da Cuba agli Stati Uniti. La storia avvenne veramente nel 1839 ed è raccontata nel romanzo di Barbara Chase-Riboud La rivolta della Amistad.
In una notte di tempesta un prigioniero africano riesce a liberarsi dalle catene e scioglie i suoi compagni. Armatisi di spade e di coltelli, attaccano i membri dell’equipaggio: l’artefice della sommossa, Joseph Cinqué, uccide il capitano della nave, trapassandolo con la spada. Gli ammutinati costringono i due spagnoli superstiti a virare verso l’Africa. Sei settimane dopo, mentre si riforniscono d’acqua, vengono arrembati da una nave militare statunitense e fatti di nuovo prigionieri per essere sottoposto al tribunale di Filadelfia.
Il processo deve innanzitutto determinare la loro proprietà, contesa tra la corona spagnola, i sopravvissuti dell’equipaggio dell’Amistad e due commercianti di schiavi che la reclamano forti di un falso contratto d’acquisto.
Un giovane ed ambizioso avvocato, Roger Baldwin, offre la sua assistenza legale a due attivisti abolizionisti, Theodore Joadson e Lewis Tappan, che si battono per assicurare la libertà agli africani. Questi hanno preso contatto anche con l’ex presidente Quincy Adams che, però, non appare disposto ad assumersi il caso.
Dopo alterne vicende e lunghe attese in carcere, gli schiavi vengono liberati ed i mercanti condannati. Il presidente Van Buren però, sotto la pressione della corona spagnola e di quella degli stati del sud che minacciano una guerra civile, impugna la sentenza di fronte alla Corte suprema.
La difesa viene affidata ad un appassionato discorso di Quincy Adams che ottiene un effetto straordinario, con una sentenza ancora più favorevole agli africani.
Ci hanno raccomandato questo film, che ci era sfuggito e forse non avremmo mai visto, dato che di Spielberg amiamo certo i film ma non la serie di polpettoni a contenuto sociale. Ma ci piaceva la presenza di uno dei padri della costituzione americana ed abbiamo una predilezione per i discorsi di libertà.
Amiamo la libertà, amiamo i Padri costituenti, amiamo i primi presidenti degli Stati uniti, non parliamo poi della separazione dei poteri; ma abbiamo ormai l’età nella quale dobbiamo guardarci dai dolci, il diabete incombe e non abbiamo più la pazienza e l’incanto per Pocahontas e l’incontro delle culture.
Gli schiavi che guardano e commentano commossi dalla Bibbia le immagini della crocifissione o che si esprimono in solenni dichiarazioni in lingua mende sono bolsaggini retoriche che rendono questo certamente il peggior film di Spielberg, forse peggio di Munich, peggio del Colore viola, sicuramente peggio di Lincoln.
Quando siamo arrivati all’attesa arringa di Adams eravamo già provati, e distrutti, da un’interminabile esposizione di buoni sentimenti. Poi un mai così smorto Antony Hopkins, per di più abbandonato a sé stesso senza regia, ci ha fatto sembrare eterno un discorso che, cronometrato, non dura più di 2 minuti e mezzo.
Ma non tutto il male viene inutilmente: alcune frasi che Spielberg mette in bocca a Cinqué ci danno lo spunto per una riflessione.
Cinqué si stupisce che il giudice possa essere cambiato. Per lui il giudice ed il capo non possono che essere riuniti in un’unica autorità, e si stupisce quando apprende che un presidente decade e lascia il posto ad un altro. Per lui il capo rimane tale per tutta la vita.
Spielberg ci presenta la semplice idea politica di Cinqué come pura, autentica ed efficace. Invece l’articolazione dei poteri nei nascenti Stati Uniti è soggetta all’ipocrisia, alla corruzione ed alle necessità contingenti della politica.
Mi chiedo cosa possa venire fuori da questa contrapposizione tra il buon selvaggio e la costituzione di un paese moderno: cosa diremmo di un presidente che assume tutti i poteri come fosse un capo tribù? non diremmo, per primo Spielberg, che si tratta di una dittatura? a che pro allora tutta quella retorica? confusione mentale o terzomondismo à la page tardiva?