Ci sono diverse sostanze zuccherine, non tutte ugualmente stucchevoli.
C’è la melassa come ci sono gli sciroppi, il miele, lo zucchero, i dolcificanti artificiali, le saccarine… Tutta roba che detestiamo. Ma il finale dolce di un mojito, quello ci va. Zuccherino in fondo ma sostenuto dal corpo del ruhm. Questo va bene.
Insomma, avete capito che si tratta di un film zuccheroso e di una storia edificante e sentimentale, ma girato con mano ferma e attenta a non degenerare.
La storia è vera e si svolge in accurato costume vittoriano.
Nel 1857 al professor James Murray, filologo britannico, venne affidato l’incarico di redigere l’ Oxford English Dictionary, a cui tutti i letterati del Regno Unito avrebbero potuto liberamente partecipare.
Uno dei collaboratori principali sarà il dottor W.C Minor, medico militare reduce della Guerra di Secessione, condannato alla redenzione in uno dei manicomi londinesi più temuti, per aver assassinato un passante.
Tra Murray e Minor nasce un’amicizia cementata dall’amore per le parole, mentre tra Minor e la vedova dell’uomo ucciso nasce un amore impossibile e disperato.
Mano ferma, abbiamo detto, ma anche visionaria, attenta a fare funzionare la storia al di là della verosimiglianza (il manicomio è una specie di hotel dove si entra ed esce ad ogni ora del giorno e della notte), attenta a coltivare il sentimentalismo fin dove è umanamente possibile accettarlo (la vedova innamorata, una mina vagante nella trama ma fortunosamente inesplosa) e attenta a riempire gli occhi e il cuore (la vastità dell’impresa è tale da suscitare meraviglia e ammirazione).
A noi sono rimaste particolarmente care quelle parti nelle quali il professore decidere di ricorrere alla collaborazione spontanea del pubblico. Alla fin fine l’Oxford Dictionary è il risultato di milioni di bigliettini inviati da tutte le parti del mondo da persone che hanno il piacere di collaborare alla stesura dell’opera, una specie di ordine spontaneo di cui nessuno all’inizio aveva il progetto.