SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Radio America” di Robert Altman (2006)


di Roberto Bolzan

Non c’è niente di Altman che non sia dentro il nostro cuore, nemmeno i film psicologici come Quel freddo giorno nel parco; forse solo Quintet, ma non ci giurerei. A rivederlo certamente lascerebbe la sua impronta come tutti gli altri suoi film.
Avremmo voluto recensire M.A.S.H., indimenticabile, o i rari Brewster McCloudMcCave and Mrs Miller (che sono la nostra passione) o Il lungo addio o Nashville. Ma i casi della vita vogliono che ci si occupi di radio e allora parliamo di Radio America (A Prairie Home Companion), il suo ultimo film prima di lasciarci.

A Prairie Home Companion, programma radiofonico regolarmente in onda da più di trent’anni, è giunto al suo ultimo giorno di vita. Il luogo da cui trasmette ogni settimana – il Fitzgerald Theater di St.Paul nel Minnesota – sarà presto distrutto. Al suo posto un parcheggio. Questa la trama. Verrebbe la voglia di non dire altro e rimandare alla visione di questo film che ha i segni distintivi del suo cinema: cast corale, trame multiple, dialoghi sovrapposti, controllo narrativo e formale.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Il laureato” di Mike Nichols (1967)

di Roberto Bolzan

Eh no, non partono con il duetto, lei vestita da sposa, come tuti (o molti) ricordiamo, bensì in autobus. Lui finisce la benzina un chilometro prima della chiesa.
A parte questo, uno dei finali già celebri della storia del cinema, il resto è ben fisso nella memoria. Ann Bancroft che si mette le calze, le corse con il Duetto rosso, le musiche di Simon & Garfunkel. Questo film ha reso celebre tutte queste cose ed anche un giovane Dustin Hoffman all’inizio della sua carriera.
Ricordiamo la storia: il giovane Benjamin Braddock, figlio di una ricca famiglia, fa ritorno a casa dopo aver terminato il college ed è ancora incerto sul proprio futuro. Durante la festa organizzata dai suoi genitori per festeggiare il suo ritorno, Ben incontra la signora Robinson, una piacente signora di mezz’età storica amica di famiglia, che gli chiede di accompagnarla a casa. Qui la donna tenta di sedurre il suo accompagnatore, ma viene interrotta dall’arrivo del marito. (altro…)

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba” di Stanley Kubrick (1964)

di Roberto Bolzan

Di questi tempi la letteratura complottista va alla grande e allora non è male andare a vedere uno straordinario Colonnello Ripper che ha le sue spiegazioni sul decadimento della civiltà occidentale. Metà degli anni sessanta, nei quali la contrapposizione tra i poli aveva assunto una dimensione preoccupante, ma tuttavia anni felici.
Al generale Ripper, comandante d’una base aerea, improvvisamente ha dato di volta il cervello: poiché la sua virilità è in declino, crede che ciò derivi da una cospirazione dei comunisti a danno dell’America  e ordina alle squadriglie dei suoi bombardieri di sferrare l’offensiva, secondo piani elaborati da tempo.   (altro…)

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Marigold Hotel” di John Madden (2012)

di Roberto Bolzan

Bella l’India, una cartolina di cui innamorarsi: Shanti, amica mia, ti ho pensata: ma è proprio così? Boh, l’unica cosa è andare a vedere di persona.

Bene. L’unico uomo vero nel film è gay e quesa scelta ideologica (e scontata assai) autorizza la chiave di lettura che segue, una delle varie possibili di un filmetto non male. Il primo, perché il sequel, a dire tutta la verità, non abbiamo trovato la motivazione per vederlo.

Il cast, di tutto rispetto, è impiegato per narrare di inglesi che per qualche motivo sono in India ed alloggiano al Maigold hotel, che risulta meno lussuoso e affascinante del previsto, perché il suo manager Sonny aveva ritoccato le immagini dell’hotel nel sito web. Jean decide di restare in hotel, mentre il marito Douglas esplora i luoghi d’interesse della città. Graham, trovando che la zona è notevolmente cambiata da quando lui ci viveva da giovane, scompare ogni giorno in gite lunghe, non dicendo a nessuno dove si reca. Muriel, nonostante i suoi atteggiamenti razzisti, inizia ad apprezzare il suo medico indiano. Evelyn ottiene un lavoro di consulenza per il personale di un call center su come interagire con i vecchi clienti britannici prima di proporre i loro prodotti. Sonny si sforza di raccogliere fondi per ristrutturare l’hotel che ha molti debiti, e continua a frequentare la fidanzata Sunaina nonostante la disapprovazione di sua madre.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Django Unchained” di Quentin Tarantino (2012)

di Roberto Bolzan

che poi vorrebbe dire “Django scatenato”. Questo per essere precisi.

Andiamo volentieri a vedere i film di Tarantino. Il ragazzo ha sbuzzo e bona volontà, ci sa fare ed è furbo e sveglio, non è uno da sottovalutare.

Stavolta la storia si svolge nel far west degli anni ’50 del secolo XIX, dove Django è uno schiavo che incontra un cacciatore di taglie che lo libera e lo associa a sé nel suo lavoro. Dopo un po’ di gigioneggiamenti di riscaldamento, il dentista Christoph Waltz ferma il carrettino (con un gigantesco dente sul tettuccio) per raccontare allo schiavo Jamie Foxx l’amore tra Brunilde e Sigfrido.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Diabolik” di Mario Bava (1968)

di Roberto Bolzan

Ci fu un’epoca, nemmeno tanto lontana nel tempo, di grande libertà del linguaggio. Oggi abbiamo una enorme disponibilità di strumenti di comunicazione, queste parole vi raggiungono in pochi secondi e forse non sarete solo dieci lettori, ma quanto a libertà di espressione… Perché il confine principale della libertà (a parte il non danneggiare un altro, ma l’espressione delle idee mai e poi mai può risolversi in un danno ad un’altra persona) è quello che ci diamo noi stessi quando limitiamo l’immaginazione ponendoci le recinzioni del consentito.
Vediamo quindi volentieri i film degli anni ’60 e ’70, epoche dalle quali traiamo oltre a grande godimento, anche molte suggestioni per l’epoca presente.

Un amico ci suggerisce, tra risate compiaciute che poi chiariremo, un film che ci era sfuggito, del grande Mario Bava: Diabolik.

Il film è chiaramente un B-movie. Oggi i B-movie sono oggetto di culto, all’epoca si trattava di schifezze innominabili. Popolato di personaggi di valore, il cinema italiano produceva capolavori anche con gli scarti di lavorazione.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Flags of Our Fathers” e “Lettere da Iwo Jima” di Clint Eastwood (2006 e 2007)

di Roberto Bolzan

 

Siamo rimasti molto delusi dal modo in cui Mel Gibson tratta la guerra. Ne abbiamo parlato la scorsa settimana. La guerra, infatti, non si esaurisce con il realismo delle immagini e con le belle storie, ma richiede intelligenza sia nel combatterla che nel raccontarla. Siamo quindi andati a vedere un film (anzi, una coppia di film, perché vanno visti insieme) che rappresenta l’esatto opposto, da questo punto di vista. Tutti i film oggi partono dallo standard, stabilito da Salvate il soldato Ryan di Spielberg e dalle scene di sbarco crudeli e violente vanno poi ciascuno per la sua strada.

Durante la seconda guerra mondiale sulla piccola isola di Iwo Hima, tra la spiaggia di sabbia nera e le cave di zolfo, si combatte una battaglia feroce tra americani e giapponesi.
L’isola, su cui erano dislocati 22mila giapponesi, era la stazione di pre-allarme per la terraferma e consentiva alle difese antiaeree nipponiche di colpire facilmente i bombardieri americani. Lo sbarco inizia il 19 febbraio 1945 e durante la battaglia, durata più di un mese, muoiono 7mila americani e 21mila giapponesi.

Due cose accadono in quella battaglia: gli americani piantano una bandiera su una cima e la foto che ritrae l’evento viene usata dalla macchina di propaganda americana come simbolo tangibile della imminente vittoria sul nemico ed al contempo per raccogliere fondi da destinare ai disastrosi bilanci della guerra; un soldato giapponese seppellisce nella sabbia le lettere dei suoi compagni scritte per i familiari e non ancora spedite.
Lo scrittore James Bradley, figlio di uno degli uomini che alzarono la bandiera americana, decide di cercare altri reduci di quella spedizione militare e chiedere loro cosa realmente fosse successo in quei giorni. Bradley constata presto che molte delle cose che il mondo crede di sapere sulla foto e sulla battaglia sono sbagliate, soprattutto perché essa fu assunta come simbolo della vittoria mentre in realtà fu scattata solamente il quinto di quaranta giorni di sanguinosa battaglia. I soldati giapponesi, mandati allo sbaraglio, sono consapevoli di non tornare più a casa. Persone comuni che desiderano solo tornare a rivedere il figlio appena nato, oppure coltivare le proprie passioni sportive, assolutamente impreparate alla guerra. Il comandante Tadamichi Kuribayashi, uomo di grande cultura, è stato a lungo negli Stati Uniti e sa perfettamente di combattere una guerra senza speranza ma, profondo conoscitore delle strategie militari, ha l’obiettivo di uccidere almeno dieci americani.
L’idea geniale è stata di girare due film nei quali le storie si sviluppano parallele, ma senza la necessità di intrecciarle. In questo modo ciascuna delle parti è girata singolarmente in modo da rappresentare nel modo più libero le caratteristiche dei due popoli coinvolti nel conflitto.

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SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “La battaglia di Hacksaw Ridge” di Mel Gibson (2016)

di Roberto Bolzan 

I mean, if it walks like a duck, quacks like a duck... Abbiamo sempre la stella polare del poeta James W. Riley che, grazie a questa frase, andrebbe iscritto nell’albo dei massimi filosofi. Il test dell’anatra: quando vedo un uccello che cammina come un’anatra e nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, chiamo quell’uccello “anatra” .
Con questo fermo principio gnoseologico siamo andati a vedere l’ultima opera di Mel Gibson e, con in mente il detto pane al pane e vino al vino, ve ne parleremo con franchezza.

La trama, innanzitutto. 1942, il giovane Desmond Doss (Andrew Garfield), obiettore di coscienza per motivi religiosi e figlio di un veterano della prima guerra mondiale, decide di arruolarsi per servire il proprio paese. Dopo un addestramento duro e a tratti umiliante, viene ufficialmente designato come soccorritore nella cruenta battaglia di Okinawa. Senza mai imbracciare un’arma, Doss dimostrerà a tutti di essere un grandissimo eroe salvando la vita a 75 uomini e diventando il primo obiettore insignito della medaglia d’onore del congresso, la più alta onorificenza militare americana. (altro…)

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