SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Jesus Christ Superstar” di Norman Jewison (1973)

di Roberto Bolzan

Le letture sul ruolo e sulla figura di Cristo sono e sono sempre state molteplici, spesso differenti fra loro per geografia e per epoca; alcune di esse hanno profondamente caratterizzato un periodo storico, permeate come sono della visione del mondo che proprio detto periodo ha elaborato.

Negli anni ’70 un musical ha proposto una lettura rivoluzionaria, che considerava Gesù profondamente umano e pienamente inserito nelle vicende storiche dell’epoca.

La storia è molto originale. Gli ultimi sette giorni della vita di Gesù sono messi in scena da un gruppo di hippies e narrati dal punto di vista di Giuda. Questi, riflettendo per conto suo, teme la piega che stanno prendendo gli eventi: lo preoccupa la popolarità di Gesù che, ormai considerato come un dio, sta perdendo di vista i loro obiettivi primari. Giuda ritiene che in un paese come il loro, occupato da una forza straniera, il fanatismo possa ritorcerglisi contro e che i romani possano arrivare ad annichilirli, se dovessero subodorare una rivolta. Cerca quindi di mettere in guardia il suo maestro, ma non ottiene la considerazione sperata. Coprotagonista del film e figura cardine della narrazione, razionale e coerente, non traditore, ma vittima suo malgrado, come il suo maestro, di un disegno del destino più grande di lui, Giuda è un personaggio dalle forti pulsioni e lacerato, in netto contrasto con l’immobilità e la rassegnazione di Gesù.

Per il resto la storia è ben nota e non si discosta dal racconto evangelico. Manca però la resurrezione, a indicare ancora di più la dimensione terrena ed umana di Gesù. Nonostante questo e la reazione scandalizzata che lo ha accolto, in Italia perlomeno, il film è diventato un classico ed ha influenzato nei decenni seguenti la percezione comune della figura di Cristo. Oggi non fa scandalo il pensarlo umano più che divino e non ci disturba vederlo come un personaggio storico, inserito nella vita del suo tempo. Oggi, se è per questo, siamo anche abituati al meta-cinema (il cinema che rappresenta sé stesso) ma qui siamo nel 1973, tante cose dovevano ancora succedere.

Assistiamo dunque ad un gruppo di artisti fricchettoni che arriva ed alla fine riparte con un pullman; in mezzo tutta la rappresentazione. Gesù e Giuda non sono nel gruppo degli artisti che ripartono. Anche questo solo dettaglio garantirebbe la carriera di qualche regista meno geniale. Ma qui abbiamo un autore che può permettersi di non sottolineare quant’è bravo, perché l’opera è leggendaria, perché non ha una sbavatura, perché dopo quasi mezzo secolo non ha perso la freschezza di allora, perché perfino gli stereotipi sono gestiti con maestria (Giuda che richiama chiaramente Malcom X: nemmeno questo ci fa storcere il naso).

Sembra incredibile oggi che si possa fare un film come questo (come Tommy, altro musical dell’epoca) interamente cantato, dialoghi compresi, proprio come un’opera classica. Per non parlare della musica, perfetta e perfettamente adatta al film, un rock tendente al pop con accenti melodici  (Everything’s Alright di Yvonne Elliman) di grande qualità. Per rendersene conto basta pensare che Smoke in the water, per esempio, sarebbe uscita di lì a poco. Ancora non c’era, non esisteva; siamo veramente agli albori di tutto.

Lontana anni luce dai santini alla Zeffirelli e dalla pornografia di Mel Gibson (sia pure questa apprezzabile) Jesus Christ Suerstar supera il tempo senza recarne traccia e ride di noi che cerchiamo di coglierne la magia.

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