di Roberto Bolzan
Non ci sono film recenti di cui valga la pena di occuparsi, però di recente abbiamo visitato la National Gallery e, come sempre accade quando siamo in una pinacoteca, ci vengono in mente le sequenze di Vestito per uccidere.
Brian De Palma fa incontrare al Metropolitan museum di New York Kate Miller (una casalinga sessualmente frustrata in terapia presso Robert Elliott) ed un misterioso uomo straniero.
Kate e lo straniero si inseguono reciprocamente attraverso le sale del museo per poi ritrovarsi all’esterno e salire sullo stesso taxi.
La sequenza, famosissima, è giocata su campi e controcampi con una camera controllatissima ed emozionante, una sapiente soggettiva e un gioco al rimbalzo, perfettamente simmetrico, tra guardante e guardato che si rifa esplicitamente ad Hitchcock e ad un’analoga sequenza in La donna che visse due volte.
I due fanno l’amore, prima sul taxi e poi in una stanza d’albergo. In piena notte la donna si sveglia e, in ascensore, viene uccisa a rasoiate da una donna bionda.
Una prostituta, Liz, scopre il corpo e intravede di sfuggita la bionda assassina ma viene sospettata dalla polizia e anche inseguita dall’assassino. Allora si allea con il figlio della vittima, un ragazzo geniale, un inventore (ricorda il giovane Brewster di Anche di uccelli uccidono di Altman) per entrare nello studio del Dr Elliot e individuare il nome di un paziente ch.e potrebbe essere l’assassino.
Qui si scopre che la donna bionda ed il Dr Elliot sono la stessa persona. Questi, infatti, è un transessuale che vive di un singolare sdoppiamento della personalità nel quale la parte femminile prende il sopravvento quando è minacciata da quella maschile e diventa assassina.
Il Dr Elliot finisce in manicomio criminale ed il film termina con il sogno di Liz che riprende le sequenze iniziali con la doccia e l’assassino in agguato.
De Palma mostra di essere in grado di fare, con la telecamera, tutto quello che vuole. Si confronta direttamente e senza soggezione con i maestri. Il suo è cinema al massimo livello, pensato fino all’inverosimile e nello stesso tempo coraggioso. Non è cerebrale, in altre parole, è cinema che sa di valere e che, senza paura, si espone in sequenze sempre al limite del genio.
Il tempo del racconto è dilatato a dismisura e, come lo sguardo della protagonista, diviene completamente soggettivo. La scena dell’ascensore, quando Kate e Liz incrociano gli sguardi in una sequenza interminabile e tesissima e si scambiano idealmente il testimone, è l’esempio chiaro di questa grandissima bravura.
Vedremo in Blow out, di poco successivo, quanto possa essere perfetto il cinema.
All’epoca il film fu molto contestato per la sua violenza e le scene di sesso, che oggi ci paiono al minimo sindacale. Oggi vedremmo piuttosto lo scandalo nel considerare la transessualità come una malattia, lo sdoppiamento patologico della personalità. E’ interessante vedere come il tema dell’identità sessuale si sia trasformato in pochi decenni. Allora il Dr Elliot veniva ricoverato in manicomio criminale, oggi il transessuale gode di uno status indiscusso, Ma è altro il tema che colpisce noi liberali, o almeno dovrebbe: vedere come in un epoca che riteniamo ancora un po’ bacchettona ci fosse più libertà d’espressione di quanta ce ne sia adesso. Andate oggi ad esprimere opinioni così in contrasto con il senso comune e vedete come il mainstream vi annulla.
Oggi pensiamo a quella come ad un’epoca di libertà. A questo siamo ridotti.