di Roberto Bolzan
Da quando abbiamo iniziato questa rubrica siamo afflitti dal senso del dovere e con la ricorrenza del disastro di Ustica abbiamo risposto al richiamo. Non potevamo non rispondere. Sapevamo a cosa andavamo incontro e, bisogna dirlo, a volte la realtà rivela possibilità inaspettate di stupore. Mai porsi dei limiti, saranno sempre superati.
Le vittime dell’aereo precipitato il 27 giugno 1980 a Ustica sono 81. Tra di esse c’è la piccola figlia della giornalista Roberta Bellodi. Il film stravolge inutilmente e crudelmente la verità assegnatole una madre giornalista (non vero) ed un padre mafioso (non vero). Il padre, essendo siciliano e quindi mafioso, veste un doppiopetto gessato a righe e dice alla madre: non doveva essere su quel volo. Ne porterai il rimorso per tutta la vita. E se ne va seguito dai guardaspalle.
La sintesi del film è tutta qui, tra invenzioni narrative crudeli ed inutili, pregiudizi infantili, cattivi dialoghi e voci sussurrate (tutto il film è sussurrato, tranne i militari che gridano sempre ed i deputati che digrignano i denti, crudeli).
Ma andiamo per ordine: una giornalista passeggia sulla riva del mare in Calabria e vede passare dei jet a volo radente sulla sua testa, e sussurra “mio Dio”. Un’elicotterista in missione antincendio atterra vicino ad un aereo militare tutto sforacchiato e con il pilota a terra sfracellato e sussurra “mio Dio”. Recupera un documento in arabo e ne strappa una pagina. Ne parla con il marito, deputato, il quale sussurra “mio Dio”. Il deputato, Corrado d’Acquaformosa (mica gente qualunque, nel film) ne parla digrignando con il collega Fragalà il quale, sempre digrignando, gli risponde di fare attenzione: ragione di stato, dice.
Nelle riunioni della commissione parlamentare d’inchiesta i deputati cercano digrignando d’insabbiare tutto, mentre la verità appare lampante al solo Corrado d’Acquaformosa che decide di non accettare tesi precostituite sull’incidente.
Dopo vari tentativi di investigazione bloccati dai militari che hanno circondato Timpa delle Magare (gridano, son militari), con i testimoni che muoiono tutti per incidente o per suicidio, tra sussurri intensi e digrignar di denti la verità viene a galla, per comodità ricostruita al simulatore di volo: due caccia italiani intercettano il caccia libico che, in mancanza del previsto aereo maltese, si accoda al DC9 italiano (va beh, è lo stesso! dice il nostro Ezzedin Fadah El Khalil, sudando già freddo per premonizione). All’ordine di desistere subentrano agli italiani prima due e quindi altri due caccia americani. Questi smitragliano per bene il Mig, cosicché Ezzedin invocando Allah e comprensibilmente sudando ancor più freddo si va a schiantare sulla Sila, e poi per distrazione si scontrano con il DC9 facendolo precipitare.
La tesi che si vuole dimostrare deriva da un dischetto con la sentenza-ordinanza data al regista personalmente dal giudice Priore (noi, dotati di mezzi fantascientifici, ve la diamo qui) e s’appoggia su alcuni articoli di Paese Sera basati su un racconto fatto davanti ad un cappuccino al giornalista Faenza da un americano di cui non ricorda il nome che ha raccontato della scomparsa di due militari da una base di cui non si ricordava il nome (pag 115 della sentenza-ordinanza). Deriva anche da un elenco di materiali, sempre pubblicato da Paese Sera, di cui non esiste traccia nei verbali di recupero né tra i reperti (pag 116).
Ne abbiamo viste tante ma mai così malfatte e lercie. Ci sfugge il senso del mescolare fatti veri e falsità così grossolane per provare delle ricostruzioni balenghe e chiamarle coraggiosa ricerca della verità.
Fatto sta che il polpettone è servito ma immangiabile, i dialoghi sono imbarazzanti, l’ingenuità della recitazione fa vergogna, il volo simulato dei caccia è malfatto, la trama risulta poco credibile anche allo spettatore meno accorto.
L’ennesima bufala propinata da un incapace maldestro a cui, siamo sicuri, abboccheranno i complottasti di bocca buona, che ce n’è comunque tanti.
In autunno presenteremo anche noi la nostra verità. Stay tuned.