IN MEMORIA DI LUZ

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di Andrea Babini

In questi giorni è nelle sale cinematografiche “Race”, un film che racconta la storia di Jesse Owens, cogliamo l’occasione per riproporre un articolo che pubblicammo su Facebook due anni or sono, quando ancora non esisteva il nostro sito internet. Narra la triste e romantica storia di un eroe di nome Luz Long, e della sua incredibile amicizia con Jesse Owens, fatta di sport e umanità.

IN MEMORIA DI LUZ

La storia che vi proponiamo oggi è una di quelle che si dovrebbero raccontare ai ragazzi quando passano dall’età infantile all’adolescenza e viene il momento di educarli a qualcosa di più delle semplici buone maniere. Si tratta di fatti del secolo scorso, il secolo delle guerre mondiali, delle ideologie totalitarie e degli stermini di massa, ma è una storia di amicizia, speranza e spirito olimpico.

Il nostro racconto inizia il 4 agosto del 1936 allo Stadio Olimpico di Berlino, durante l’Olimpiade in Germania che, nei progetti di Adolf Hitler, doveva celebrare e mostrare al mondo i successi del regime; sulla pedana del salto in lungo si prepara a prendere la rincorsa Jesse Owens, la freccia nera, l’atleta di colore americano che sta mettendo in serio imbarazzo il regime nazista con le sue vittorie folgoranti; Jesse ha già al collo  tre medaglie d’oro splendide conquistate nelle gare di velocità. Il suo avversario però è temibile, si tratta dell’idolo di casa, il giovane studente in giurisprudenza Carl Ludwig Long, per tutti Luz, che vanta un record personale di 7,73 e che punta decisamente al gradino più alto del podio. Luz è alto, ha leve lunghe e una tecnica perfetta unita ad una naturale eleganza, su di lui Hitler ripone enormi speranze. Jesse invece non ha nel salto in lungo la sua disciplina naturale, è potente, velocissimo e capace di esprimere forza enorme, ma ha carenze tecniche e, in particolare, quel giorno è in difficoltà, ha già fallito due tentativi e gli resta un’ultima possibilità per qualificarsi, sa bene che i giudici non aspettano altro che potergli commissionare una penalità per eliminarlo. A quel punto però succede l’inaspettato, l’imprevedibile, scatta il fattore umano che si manifesta nella spontanea sportività di Luz; egli si avvicina a Jesse e gli dice candidamente “con i tuoi mezzi non solo dovresti qualificarti, ma vincere con grande distacco; stai attento al punto in cui stacchi per il salto, è molto importante” poi, con uno sguardo d’intesa, lascia cadere un fazzoletto nel punto ideale.

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Jasse capisce, usa il suggerimento dell’avversario, allunga la rincorsa e stacca nel punto indicato da Luz. Spicca un gran salto e si qualifica. Per tutto il giorno di gara i due si parlano, scherzano senza curarsi dei giudizi dei gerarchi o dei presenti. Le foto di quel giorno sono eloquenti. Jasse vince la medaglia d’oro e Luz è argento, la foto di Jasse che sul podio fa il saluto militare, mentre Luz fa il saluto a braccio teso rimangono impresse nella mente di molti.

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Quindi? La storia finisce qui? No certamente no. La storia continua perché i due restano amici e si scambiano lunghe lettere negli anni a seguire nei quali Luz diventerà un personaggio importante della bella società tedesca e Jesse dovrà tornare alla dura vita di una persona di colore negli Stati Uniti ancora segregazionisti. Il Presidente americano evitò di incontrarlo per non rischiare di inimicarsi la maggioranza bianca dell’elettorato e gli ci vollero molti anni perché i suoi successi sportivi gli fruttassero la riconoscenza dei concittadini.

Poi venne il giorno in cui la follia dei totalitarismi chiese al mondo il suo tributo di sangue, ebbe inizio la seconda guerra mondiale. Luz in un primo momento poté evitare il fronte in virtù della sua condizione privilegiata, ma poi, quando le cose si misero male per la Germania, venne spedito con i gradi di sergente maggiore sul fronte italiano a respingere le forze americane sbarcate in Sicilia.

Luz visse quella tragedia come qualcosa che non gli apparteneva e di insensato, ma suo malgrado ne venne travolto. Un giorno apprese di essere diventato padre di un maschietto, ma non vide mai il figlio; pochi giorni dopo venne colpito e morì a Gela in seguito a 4 giorni di agonia. Il grande atleta se ne andò in silenzio, piccolo ingranaggio di un meccanismo che lo travolse nel fragore delle bombe insieme a milioni di altri esseri umani. Aveva solo trent’anni e fu seppellito in una fossa comune, da cui le sue spoglie vennero riesumate solo successivamente dalla Croce Rossa e traslate nel sacrario militare di Motta Santa’ Anastasia, dove riposano tutt’ora.

 

Nel dopoguerra Jesse Owens dichiarò di avere ricevuto dall’amico tedesco questa commovente lettera proveniente dal fronte algerino, e le parole di Luz meritano di essere scolpite nella pietra immortale come esempio per tutti gli uomini:

 

“Mio caro amico Jesse, dove mi trovo, sembra che non vi sia null’altro se non sabbia e sangue. Io non ho paura per me, ma per mia moglie e il mio bambino, che non ha mai realmente conosciuto suo padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se così dovesse essere, ti chiedo questo: Dopo la guerra, va’ in Germania, ritrova mio figlio e parlagli di suo padre. Parlagli dell’epoca in cui la guerra non ci separava e digli che le cose possono essere diverse fra gli uomini su questa terra. Tuo fratello, Luz”

 

 

 

Qualcuno dubita della veridicità di questa lettera, ma quel che è certo è che Jasse onorò la richiesta, si recò in Germania a parlare di Luz a suo figlio e fu ospite anche al suo matrimonio. E mai Jasse smise di onorare la memoria dell’amico al punto che arrivò a dichiarare:

«Si potrebbero fondere tutte le medaglie che ho vinto, ma non si potrebbe mai riprodurre l’amicizia a 24 carati che nacque sulla pedana di Berlino.»

Vero o no che fosse la lettera la lettera a Jesse, il testo era certamente in linea con la sensibilità dell’atleta teutonico che alla nonna nel 1932 scrisse in una lettera che:

«Tutte le nazioni del mondo hanno i propri eroi, i semiti così come gli ariani. E ognuna di loro dovrebbe abbandonare l’arroganza di sentirsi una razza superiore.»

Noi vogliamo ricordare Carl Ludwig Long e il suo amico Jasse  mentre scherzano felici con le loro medaglie al collo uniti dall’amore per la vita e per lo sport. Questo è il modo migliore per onorarli e sconfiggere l’orrore che li voleva nemici.

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