“Effetto Lucifero (The Stanford Prison Experiment)” di Kyle Patrick Alvarez (2015)

Ci sono due esperimenti famosi di psicologia: in uno, una persona viene collocata in una stanza legata ad una sedia mentre al di là del vetro un volontario deve premere dei pulsanti che somministrano scosse elettriche di intensità crescente al paziente. Gli ultimi tasti portano l’avvertenza “attenzione! scossa potenzialmente mortale”.
Ebbene, l’esperimento ha mostrato che in presenza di un’autorità quasi tutti i volontari hanno continuato a somministrare scariche anche quando erano coscienti di stare uccidendo il paziente. Tanto può l’autorità di un semplice camice bianco.

Il secondo è raccontato nel film. Alcuni studenti dell’università di Stanford rispondono all’annuncio pubblicato su un giornale offrendosi come cavie, durante le vacanze estive, dietro un compenso di 15 dollari al giorno. Con un sorteggio vengono assegnati i ruoli di detenuto o guardia e poi vengono isolati in una finta prigione realizzata in un sotterraneo del campus.
In breve le guardie carcerarie assumono un atteggiamento coercitivo e violento nei confronti dei detenuti, violando sistematicamente il regolamento carcerario e infliggendo loro punizioni corporali e umiliazioni. I detenuti assumono un atteggiamento passivo di rassegnazione mentre le guardie si occupano di punire i sovversivi, reprimere le rivolte e di ristabilire l’ordine violato
L’esperimento viene interrotto anzitempo, tra le proteste dei volontari per il mancato guadagno, per la pericolosità della situazione nella quale le dinamiche si evolvevano senza inibizioni.

Non è banale la scena nella quale i volontari tentennano nello scegliere quale personaggio interpretare nell’esperimento: “a nessuno piacciono le guardie”, nessuno si professa “cattivo” ma esserlo è una goduria.

L’esperimento fu realizzato all’Università di Stanford nell’agosto del 1971 per iniziativa del giovane professore di psicologia Philip Zimbardo. 
Dopo appena tre giorni gli studenti avevano già ampiamente interiorizzato il loro ruolo. Coloro che impersonavano le guardie mostravano già la mentalità e la brutalità psicologica e verbale tipica di alcune autentiche guardie carcerarie e coloro che impersonavano i prigionieri, con poche eccezioni, divennero totalmente remissivi nei confronti dell’autorità. 

Negli anni più recenti si è scoperto che alcuni risultati, quelli più brutali, sono stati influenzati dagli sperimentatori che hanno suggerito alcuni comportamenti, spingendo i volontari verso le soluzioni più brutali.
Ma è inutile sorridere. Ciascuno di noi è candidato, con poche eccezioni, a comportamenti aberranti quando sottoposti all’autorità e coperti nella responsabilità dal gruppo.

Sull’esperimento carcerario di Stanford sono stati realizzati altri due film: The Experiment – Cercasi cavie umane (2001) e The Experiment (2010). Questo, del 2015, è il più aderente alla realtà e si limita a raccontare la storia con una semplicissima messa in scena. Nonostante questo, o forse proprio tramite questa scelta stilistica, risalta il pregio del film: di non dare alcun giudizio morale, nessuna lezione se non quelle implicite nella storia, che ciascuno può elaborare da sé.

“Effetto Lucifero (The Stanford Prison Experiment)” di Kyle Patrick Alvarez (2015)

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