“Ron Stallworth è un cazzo di ebreo”
“Beh, poteva essere peggio”
“E come?”
“Poteva essere negro”
Ron Stallworth, capelli afro, è un giovane aspirante detective che vorrebbe iniziare a lavorare nella polizia della città: primo poliziotto di colore in assoluto a fare il detective in quella sede.
Mandato come infiltrato in un gruppo di Black Panthers locali, durante un comizio di Kwame Ture (alias Stokely Carmichael) riceve l’illuminazione e in più s’innamora della bellissima Patrice Dumas, leader locale del sindacato degli studenti neri.
Ci prende gusto fino a contattare il Ku Klux Klan, diventarne il leader locale (tramite il collega Flip Zimmerman, ebreo, che gli fa da controfigura), conoscere David Duke, sventare un attentato a Patrice ed alla fine sbottare al telefono rivelandogli, a Duke, la verità, tra lazzi e contumelie.
La battuta che abbiamo riportato all’inizio poteva quindi essere divertente ma non lo è. Forse perché malamente copiata, forse chissà.
Forse perché la cattiva retorica di cui il film progressivamente si ammanta alla fine fa diventare pensose anche le battute più rodate.
Sta di fatto che la politica non fa bene al cinema.
Le sequenze finali, con David Duke contrapposto alle scene dell’attentato d Charlottesville e le dichiarazioni di Trump sono leziose oltre ogni dire, degne del Caimano e dei film di Sabina Guizzanti, di cui non ricordiamo il nome.
L’interminabile sequenza nella quale Harry Belafonte racconta il linciaggio di Jesse Washington con il contrappunto dell’iniziazione al KKK è insultante nella sua pedagogica pedante schiettezza. Così com’è pedante la visione di Nascita di una nazione di Griffith tra bianchi in visibilio.
Per essere sicuro che non ci siano equivoci Spike Lee si premura che i razzisti pronuncino “America first”, che il messaggio per qualche caso non sia passato, non sia mai. Ogni volta noi sprofondiamo per l’imbarazzo.
C’è poco altro da dire. Belle le pettinature afro, da cartolina, bella l’illuminazione di scena. Adam Driver (Flip Zimmermann) sarebbe stato meglio ambientato 20 anni più tardi in Starsky and Hutch.
Non si capisce perché l’Oscar per la sceneggiatura.
Un filmetto, grazioso ma gravemente viziato dall’ansia di raddrizzare il mondo e di indicare chi lo sa fare.