Venerdì mattina mi sono svegliata e dal giorno alla notte il paese in cui vivo è diventato noto in tutto il mondo. E quanto era bello l’anonimato…
Il primo messaggio che ho ricevuto è delle 2.49: “hai sentito? Stai attenta se vai in giro”. Venerdì mattina, quando ho aperto gli occhi, mi mancava il contesto. Carico la pagina di corriere.it ed eccolo il “contesto”: il primo caso di Coronavirus in Italia è stato riscontrato all’ospedale di Codogno. Vabbè, prima o poi doveva arrivare da qualche parte.
Venerdì mattina, comunque, il mercato era in piazza: qualche banco in meno del solito, molta meno gente, ma tutti, indistintamente, parlano dello stesso argomento. C’è chi è particolarmente preoccupato e chi dice “ce la faremo, noi siamo qua”. Poi la mattina trascorre e tutto cambia davvero: improvvisamente non sento più alcun rumore dalla pasticceria sotto casa mia, anche dei consueti profumi celestiali non v’è più traccia. È arrivata la prima ordinanza: fino a lunedì viene imposta la chiusura di tutti gli esercizi commerciali e degli uffici pubblici, vengono chiusi tutti i luoghi di potenziale assembramento e le scuole di ogni ordine e grado. Venerdì sera in piazza l’atmosfera è surreale.
In giro ci siamo io, il mio cane e qualche ragazzino. Tutto silenzioso, quasi fossimo una città fantasma del vecchio west. Per terra ci sono ancora i coriandoli del carnevale che si è festeggiato la domenica precedente. Mi sento al telefono con un amico, gli dico subito le mie impressioni e che non avrebbe senso un provvedimento che obbliga alla chiusura per un weekend, dal momento che la quarantena prevista per il coronavirus è di almeno quindici giorni. Per cui, anche se ufficialmente si è deciso di bloccare tutto per tre giorni, evidentemente è solo l’inizio e il provvedimento verrà prolungato per tutta la durata della quarantena. Altrimenti che senso avrebbero tre giorni di chiusura? Giusto il tempo per far pensare alla gente “vabbè, allora questo weekend lo faccio via”.
Tra sabato e domenica, però, la situazione si complica. Alle 10.00 del sabato arriva una nuova ordinanza, ben più restrittiva: è fatto espresso divieto ai residenti di Codogno di uscire dal territorio comunale e non per tre giorni, ma, di fatto, fino a nuovo ordine. Le misure riguardano Codogno e altri nove paesi del basso lodigiano. In giro ci sono pochissime persone, sempre per lo più proprietari di cani. Spuntano telecamere e giornalisti. Il problema, però, è che mentre ci sono poche informazioni, e nonostante l’ordinanza escludesse dall’obbligo di chiusura gli alimentari, a Codogno non esiste un supermercato disponibile per fare la spesa. Qualcuno per strada mi dice che a Casalpusterlengo alcuni supermercati continuano a essere aperti, ma ci sono code assurde anche solo per entrare. Notizia da me verificata direttamente la mattina successiva: I supermercati lavorano, ma i clienti con i carrelli sono in coda all’esterno e iniziano a spuntare le prime mascherine, che nel frattempo sono divenute irreperibili.
Sabato sera, in una piazza ancora semi deserta, quasi dal nulla spuntano un giornalista e un cameraman della televisione spagnola che tentano di intervistarmi. Mentre il mio cane gioca con una sua amichetta, in centro arrivano cinque volanti dei carabinieri: in piazza a Codogno, alle 22.30 del sabato sera, quando in giro ci sono forse una dozzina di persone in tutto, questo spiegamento di forze fa davvero impressione. No, non devono arrestare un terrorista della jihad, ma hanno l’ordine di controllare che non vi siano assembramenti. Si vive così di questi tempi a Codogno, tanto silenzio, interrotto solo dalle sirene delle ambulanze che sembra non si siano fermate mai da domenica. Poca gente in giro, anche se man mano che passano le giornate, mi sembra che aumentino coloro che, magari armati di mascherina, prendono coraggio ed escono di casa.
Da martedì anche a Codogno i supermercati sono aperti; oggi hanno riaperto le edicole. Scopro, nel frattempo, che esiste Radio Codogno, che da un paio di giorni, alle 11.00 e alle 17.00, dà aggiornamenti in diretta sulla quarantena. Stamattina c’era il sindaco di Codogno. È stato bello scoprire che il Sindaco di Gorgonzola, insieme al parroco e ad altri, in segno di solidarietà hanno mandato delle forme del loro famoso formaggio alla comunità. Un gesto particolarmente apprezzato, in un momento in cui tutti pensano che siamo degli untori e addirittura indagano la gestione dell’ospedale del paese. E in questo contesto trovo apprezzabilissimo lo sforzo dei volontari della protezione civile a sostegno di qualsiasi necessità della nostra comunità.
Ovvio, qualsiasi necessità tranne quella di lavorare. Ieri i rappresentanti dei commercianti e delle altre categorie hanno incontrato i vari sindaci della zona rossa: da quanto emerge dalle parole del Sindaco si è parlato molto per cercare di gestire la situazione. Qui davvero l’unica cosa che vorrebbero tutti è poter lavorare. Paralizzare per quindici giorni il basso lodigiano, già ampiamente depresso da anni, potrebbe voler dire far chiudere molti, non per un paio di settimane, ma per sempre. A Milano hanno chiuso i bar dalle 18.00 alle 6.00: tempo tre giorni e le associazioni di categoria si sono fatte sentire e hanno potuto riaprire per gli aperitivi (A mio modo di vedere, giustamente).
Mentre la nuova linea cerca di minimizzare, si diminuiscono i tamponi solo ai casi sintomatici, qui ci sono 50.000 persone bloccate a cui è stato vietato di fare il proprio lavoro, qualunque esso sia. Nel frattempo non si dicono un paio di cose. La prima è che di polmoniti in giro ce ne sono state un po’ questo inverno (no, non solo nella bassa), curate con antibiotici e rigorosamente senza ricovero, senza tampone e senza prime pagine dei giornali. Che personalmente conosco una signora ultrasettantenne che ha febbre molto alta, affanno e continui svenimenti da giorni: il medico di base l’ha visitata a casa e la ha prescritto la cura antibiotica mentre 112, 118, 1500 e tutti i numeri messi a disposizione per il coronavirus la lasciano a casa, ignorandola.
Quindi il basso lodigiano sta qui, a fare da “capro espiatorio” del paese, per un virus che forse circolava ovunque chissà da quanto. Ma questo ci è capitato in sorte e dobbiamo accettarlo responsabilmente; quindi noi stiamo buoni, in quarantena, e teniamo chiuso. Lo facciamo per senso di civiltà. Ecco, magari, tra dieci giorni, quando Codogno sarà tornata al suo consueto anonimato, per favore non ghettizzateci.
Di Elisa Contardi