Endre Ernő Friedmann divenne celebre con lo pseudonimo di Robert Capa grazie suoi reportage che rendono testimonianza di cinque diversi conflitti bellici: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d’Indocina (1954). Capa documentò inoltre il corso della seconda guerra mondiale a Londra, nel Nordafrica e in Italia, lo sbarco in Normandia dell’esercito alleato e la liberazione di Parigi. Arrestato per comunismo dal regime fascista dell’ammiraglio Horthy, donnaiolo impenitente, grande bevitore, specialista stralunato delle carte da gioco e delle scommesse, un po’ spaccone e sempre irrequieto, odiava con tutto il cuore la retorica, le medaglie, le commemorazioni. E, soprattutto, odiava la guerra, la stupidità e l’assurda brutalità delle violenze contro la gente comune. Eppure è considerato ancora oggi, da tutti, il più grande fotografo di guerra. Esiliato dall’Ungheria nel 1931, si trasferisce a Berlino dove inizia a lavorare come fattorino per un’importante agenzia fotografica. Il direttore, Simon Guttam, scopre ben presto il suo talento e comincia ad affidargli dei piccoli servizi fotografici sulla cronaca locale. Con l’avvento del nazismo, è costretto a scappare dalla Germania, in quanto ebreo e con precedenti comunisti. Si rifugia in Francia e da lì parte per la Spagna dove è in corso la guerra civile tra repubblicani e franchisti. Nel 1936, Capa diviene famoso in tutto il mondo per una foto scattata a Cordova, dove ritrae un soldato dell’esercito repubblicano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Questa foto è tra le più famose fotografie di guerra mai scattate. Quella fotografia, vera o falsa che sia (il dibattito è ancora aperto), nell’immaginario collettivo simboleggia il primo grande scontro tra il fascismo e l’antifascismo europeo. Dopo la Spagna, Capa riprende la sua vita errabonda e finisce in Nord-Africa, a seguito delle truppe americane. Quando apprende dell’imminente sbarco in Sicilia, si fa paracadutare sull’isola. Lungo il percorso dell’esercito americano, scatta numerose foto. Dopo tre settimane dallo sbarco, gli Americani si avvicinano al capoluogo dell’isola. Ricorda Capa: «Eravamo alla periferia di Palermo i tedeschi erano stati isolati e ciò che restava delle forze italiane non aveva intenzione di combattere. La jeep che mi ospitava, seguiva i primi carri della seconda divisione corazzata lungo il percorso verso il centro della città. La strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a “Brook-a-leen”. Oltre alle immagini, Robert Capa ci lascia le sue memorie in un diario pubblicato nel 1947 con il titolo Slightly out of focus. Nel suo diario, egli riporta gli avvenimenti cruenti a cui assiste, racconta le fatiche di un’esperienza avventurosa e descrive la sensazione di vuoto e di angoscia che lo prende assistendo ai combattimenti. Il 6 giugno 1944 partecipa al sanguinoso sbarco del contingente americano ad Omaha Beach, in Normandia. La maggior parte delle foto scattate durante lo sbarco va tuttavia perduta per un errore del tecnico di laboratorio addetto allo sviluppo; scampano alla distruzione solo undici fotogrammi danneggiati che trasmettono comunque tutta la terribile drammaticità dei momenti del D-Day. La sua passione e la sua vita, l’amore per la fotografia, lo porta a morire nel 1954 durante la Prima Guerra d’Indocina, al seguito di una squadra di truppe francesi. Accompagnando un battaglione di soldati in una missione, scatta le ultime immagini prima dell’incidente che gli costò la vita; sale su un terrapieno sulla destra per fotografare una colonna in avanzamento nella radura e qui posa il piede sulla mina che lo uccide.
Nelle immagini, la controversa foto di Cordoba.