21 NOVEMBRE 533: COSTITUZIONE GIUSTINIANEA

giusto

Giustiniano giunge al potere nel 527, succedendo allo zio Giustino. Uomo dotato di forte personalità e di grande capacità di lavoro, egli ha il merito di scegliere collaboratori di alto livello: Giovanni di Cappadocia, prefetto del pretorio, Triboniano, quaestor sacri palatii (simile a un ministro della giustizia dei nostri giorni), Belisario e Narsete, comandanti militari, sono solo alcuni dei nomi più noti. 
Giustiniano si propone quale obiettivo principale del suo regno quello di riconquistare l’Occidente caduto nelle mani dei barbari; di riportare la pace, nel segno dell’ortodossia, nella Chiesa dilaniata dalle dispute teologiche; di procedere a una raccolta del diritto romano. Mentre i primi due sono raggiunti solo in modo precario e hanno una durata effimera, il terzo è conseguito e consegnerà alla storia la figura di Giustiniano come legislatore per antonomasia.
La compilazione è compiuta gradualmente e non ha da subito i caratteri di un’opera completa e unitaria: la stessa espressione Corpo del diritto civile (Corpus iuris civilis), con cui di solito ci si riferisce a essa, non è giustinianea ma di Denys Godefroy, il giureconsulto francese che titola in tal modo l’edizione da lui approntata nel 1583.
Già pochi mesi dopo la sua ascesa al potere, il 13 febbraio 528, Giustiniano emana una costituzione, nota dalle parole iniziali come Haec quae necessaria, in cui dispone che una commissione, composta da funzionari ed esperti di diritto, provveda alla compilazione di un codex, raccolta di leggi imperiali da attuarsi con i materiali dei codici Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano, integrati con la successiva legislazione imperiale. Giustiniano chiarisce il fine utilitaristico del codice, cioè ridurre la lunghezza delle cause (prolixitas litium) e, all’uopo, dà mandato alla commissione di manipolare i testi originari, tagliandoli, aggiungendo o cambiando le parole, raggruppando in una sola disposizione le norme disperse in vari provvedimenti. Il codice entra in vigore il 7 aprile 529 con la legge detta Summa rei publicae.
L’anno seguente, esattamente il 15 dicembre 530, Giustiniano promulga una nuova costituzione nota come Deo auctore, nella quale manifesta la propria intenzione di procedere a una grande compilazione degli scritti dell’antica giurisprudenza, gli iura, cui dare il nome di Digesto o Pandette (Digesta seu Pandectae).
Egli indirizza la legge al suo quaestor Triboniano, col quale, evidentemente, ha già in precedenza delineato le idee guida di questa raccolta. Triboniano, uomo di profonda cultura giuridica, sarà il grande architetto del Digesto. La commissione incaricata dell’opera è composta da professori di diritto e da avvocati del foro di Costantinopoli. Essa riceve l’incarico di selezionare i testi dei giuristi romani, scegliere i frammenti più attuali, cambiandone anche, se necessario, le parole e di racchiudere il tutto in un’opera in 50 libri, suddivisi in titoli secondo gli argomenti. Una volta completato, il Digesto avrebbe avuto piena vigenza, come se i pareri espressi dai brani giurisprudenziali ivi contenuti provenissero dalla bocca dello stesso sovrano; al fine di evitare nuove contrastanti interpretazioni e incertezza del diritto, Giustiniano avverte che saranno vietati i commentari e le interpretazioni dell’opera. I lavori dei commissari procedono con grande rapidità. Dopo appena tre anni, il 16 dicembre 533, l’imperatore pubblica il Digesto con una costituzione bilingue, detta Tanta o Devdwken.
Nella stessa Deo auctore, Giustiniano preannuncia anche la redazione di un’opera istituzionale, di cui non possediamo la legge introduttiva, come per il Codice e il Digesto . Abbiamo, tuttavia, la costituzione, detta Imperatoriam, del 21 novembre 533, diretta alla “gioventù desiderosa di apprendere le leggi” (cupida legum iuventus), con cui l’imperatore pubblica questo manuale chiamato Istituzioni (Institutiones sive Elementa). Esso, suddiviso in 4 libri, ha come fonti precedenti scritti istituzionali (soprattutto quelli di Gaio, giurista del II sec.) e abbraccia sia il diritto e il processo privato sia la materia penale. Circa un mese dopo la pubblicazione del manuale, e pressoché in contemporanea con quella del Digesto, Giustiniano promulga, il 15 dicembre 533, la costituzione Omnem, con cui procede a una profonda revisione degli studi giuridici, il cui fine ultimo è l’uso, anche sul piano didattico, di tutte le compilazioni fino ad allora predisposte.
L’anno successivo, il 16 novembre 534, Giustiniano emana un’altra costituzione, ricordata come Cordi, in cui pubblica una seconda edizione del Codice (Codex repetitae praelectionis), resasi necessaria per il gran numero di costituzioni innovative emanate a partire dal 530. I criteri di compilazione di questo secondo Codice sono analoghi a quello precedente. Esso, a differenza del primo giunto fino a noi, è diviso in 12 libri, a loro volta suddivisi in titoli, all’interno dei quali si trovano le singole leggi degli imperatori, di cui la più antica risale ad Adriano, imperatore dal 117 al 138). Dopo il 534 e fino alla sua morte, avvenuta nel 565, l’imperatore continua a promulgare una copiosa legislazione, innovatrice in vari campi del diritto: queste nuove costituzioni, chiamate Novelle (Novellae constitutiones), non sono riunite in raccolte ufficiali, ma ci sono comunque pervenute attraverso raccolte private.
La compilazione giustinianea restituita alla storia

Gli studi sulla compilazione di Giustiniano hanno riguardato aspetti molto diversificati, in modo particolare le tecniche di redazione, relative soprattutto al Digesto, e il problema delle interpolazioni, cioè le modifiche o le integrazioni che i commissari apportarono ai testi originali. Giustiniano ha avuto il grande merito di trasmettere ai posteri un patrimonio giuridico di inestimabile valore che, nei secoli successivi, sarebbe stato, in via diretta o sussidiaria, la base degli ordinamenti di molti Paesi europei. Tuttavia, nello stesso tempo, egli ha dato a quel patrimonio la forma di un codice che, come si è visto, i Romani non hanno mai conosciuto, pur se proprio tale forma ne ha consentito, nel corso del tempo, la custodia e l’agevole consultazione. Chi, dunque, oggi si ponga alla lettura dei testi della compilazione, non può non tenere conto di questo dato e deve avvicinarsi a essi nel tentativo di riscoprirne la storia, cercando di farli rivivere per ciò che quei testi realmente rappresentarono nel contesto e nel tempo in cui furono ideati.

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