SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “I magnifici sette” di Antoine Foquas (2016)

Di ritorno da un viaggio il menù del volo non dava molta scelta e quindi abbiamo visto questo, che appartiene ad un genere che ci piace molto.

Il western è un genere di scelte morali e rappresenta da sempre il fondamento etico del cinema americano. I cowboy si confrontano con i criminali e si contrappongono a sindaci spietati o comunità pavide, sono gli unici con la schiena dritta e tengono alta la bandiera della moralità in un mondo in cui è troppo conveniente ammainarla. Cosa c’è di meglio?
Per di più il regista dichiara di aver iniziato a fare il regista dopo aver visto I sette samurai, e in un’altra intervista dichiara Il buono, il brutto e il cattivo come il suo film preferito. Kurosawa e Leone, caspita! ci siamo detti, andiamo a vedere il frutto di tanta applicazione.

California del 1879, poco dopo la fine della Guerra civile. Il piccolo villaggio di Rose Creek è perseguitato dai sicari agli ordini di Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard), un affarista spietato e senza scrupoli che intende cacciare gli abitanti della cittadina per poterne sfruttare la vicina miniera d’oro. Quando Bogue arriva ad incendiare la chiesa e massacrare alcuni abitanti per dare una lezione al resto dei coloni, minacciando di trucidarli tutti se non gli venderanno i loro appezzamenti di terreno per pochi spiccioli, gli abitanti di Rose Creek decidono di ribellarsi.
La giovane vedova Emma Cullen, il cui marito è stato ucciso da Bogue, incontra il delegato di giustizia, nonché giudice di pace autorizzato in otto stati, tra i quali l’Arkansas, Sam Chisolm (Denzel Washington), e lo convince ad aiutarli a difendersi dai criminali.
Chisolm, nero, come ben si capisce, recluta una banda che comprende un indiano (ehm, nativo americano), un messicano, un cinese, un veterano della guerra civile, e tutti insieme addestrano la gente del villaggio all’uso dei fucile, organizzando un sistema di difesa in attesa della battaglia.
Quando Bogue arriva con il suo esercito personale viene sconfitto ed ucciso in una drammatica sequenza finale nella quale si rivela la motivazione di Chisolm, la cui famiglia è stata sterminata da Bogue.

Non è obbligatorio fare un remake, ma pare non si possa impedire: questo non toglie che le idee possano fiorire anche riprendendo un lavoro altrui. Quello che turba è la sicurezza di chi dichiara tra i propri maestri registi di tale caratura e poi si produce in una furbatina costruita a tavolino per prendere premi governati dalla burocrazia

Quando alla banda capeggiata da un nero si aggrega l’ennesima minoranza protetta ci sentiamo male per l’imbarazzo. Al posto degli sporchi e cattivi abbiamo dei simpatici giocatori d’azzardo e degli ex cacciatori d’indiani pentiti, degli orsi cattolici un po’ pazzi ma dallo sguardo buono e via dicendo. Perfino il cacciatore di taglie non è più tale ma è diventato un delegato di giustizia: quella che poteva essere una trovata interessante è diventata un modo per rendere buoni i cattivi e inamidare gli sporchi. I gilet sono hipster, i fisici moderni e vagamene gay. Anche la donna, inclusa tra le categorie protette, impara a sparare ma fine s’intenerisce e si capisce che ne vorrebbe, ma non può. L’unico vero cattivo è un improbabile psicopatico preso da altri generi e piazzato qui senza tanta riflessione. D’altronde il regista dichiara di essersi ispirato “ad un moderno squalo di Wall Street, pensando al terrorismo ed a tutti quelli che ancora oggi si approfittano dei più deboli in giro per il mondo”. Logico che la giuria applauda ed i premi fiocchino.

Che altro? delle persone rischiano la vita per la convenienza di altri, ma in questa versione non capiamo come mai. Ad ogni nuova adesione non corrisponde una piccola storia individuale, che porti la motivazione. I criminali, i bastardi e i cowboy si uniscono alla banda senza ragioni, si imbarcano in un’impresa che sanno essere mortale ma noi non capiamo perché.
Fuqua pare sapere che il western è un genere con le sue regole (ha studiato Leone, dice) eppure nel finale mostra di non sapere cosa rende grande l’azione. Privo di narrazione interna, la grande battaglia attesa da giorni, il confronto tra i pochi difensori e l’esercito aggressore diventa una sparatoria e basta, con i morti, gli spari e la dinamite messi in fila e basta. Le storie individuali non vengono al pettine nella cornice epica della battaglia, ma si spengono così, meccanicamente; qualcuno muore e qualcuno vive ma senza un perché.

Abbiamo detto prima che è un film furbino, girato da una volpe che sa quello che fa. Peccato che a noi piacciano i lupi.

 

SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “I magnifici sette” di Antoine Foquas (2016)

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