Dopo essersi formato in arte pubblicitaria al Carnegie Institute of Technology e aver fatto le prime esperienze sulle principali riviste glamour, come Vogue, il 34enne Andy Warhol scoprì quasi per caso che l’immagine di una “lattina di zuppa” sarebbe diventata il manifesto di una nuova corrente artistica: la Pop Art. Quando gli venne offerta l’occasione di fare una prima mostra personale alla galleria Ferus di Los Angeles, l’idea giusta che lo avrebbe reso popolare gli fu suggerita dalla gallerista Muriel Latow. Lei gli suggerì di puntare su qualcosa che avrebbe trasmesso alla gente il senso più autentico della quotidianità. Il giovane artista di Pittsburgh sviluppò l’idea realizzando 32 dipinti con altrettante lattine di zuppa di una nota marca, nei diversi gusti e colori. Fu così che quando il 9 luglio del 1962 la mostra venne inaugurata, i visitatori vennero catturati dal Campbell’s Soup Cans ed ebbero la sensazione di trovarsi tra gli scaffali di un supermercato. Una percezione che avrebbe accompagnato per sempre la produzione di Warhol e della Pop Art, che con lui divenne celebre in tutto il mondo. Un’arte popolare perché di massa, cioè prodotta in serie e utilizzando le forme d’espressione più consuete della società dei consumi: dai fumetti alla pubblicità. Il celebre dipinto Campbell’s Soup Cans che all’epoca Warhol vendette per mille dollari, quando nel 1996 fu acquisito dal Museo d’Arte Moderna di New York (dove tuttora è esposto), venne valutato 15 milioni di dollari. L’attività artistica di Warhol conta tantissime opere, che produceva in serie con l’ausilio dell’impianto serigrafico. Le sue opere più famose sono diventate delle icone: Marilyn Monroe, Mao Tse-Tung, Che Guevara e tante altre. La ripetizione era il suo metodo di successo: su grosse tele riproduceva moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori (prevalentemente vivaci e forti). Prendendo immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali (famose le sue bottiglie di Coca Cola) o immagini d’impatto come incidenti stradali o sedie elettriche, riusciva a svuotare di ogni significato le immagini che rappresentava proprio con la ripetizione dell’immagine stessa su vasta scala. La sua arte, che portava gli scaffali di un supermercato all’interno di un museo o di una mostra d’arte, era una provocazione nemmeno troppo velata: secondo uno dei più grandi esponenti della Pop Art l’arte doveva essere “consumata” come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Ha spesso ribadito che i prodotti di massa rappresentano la democrazia sociale e come tali devono essere riconosciuti: anche il più povero può bere la stessa Coca Cola che beve Jimmy Carter o Liz Taylor. Successivamente rivisitò anche le grandi opere del passato, come L’ultima cena di Leonardo da Vinci o capolavori di Paolo Uccello e Piero della Francesca: anche in questo caso cercò di rendere omaggio a delle opere d’arte al posto dei mass media che in alcuni casi cercarono di screditarlo, tuttavia la pop art fu una delle icone principali che accompagnarono il boom economico. La breve vita di Warhol (morì nel 1987 a soli 59 anni) fu funestata da un episodio terribile. Nel 1968, una femminista radicale, Valerie Solanas, sparò a Warhol e al suo compagno di allora, Mario Amaya. Entrambi sopravvissero all’accaduto, anche se Warhol in particolare riportò gravi ferite e si salvò in extremis. Le apparizioni pubbliche di Warhol dopo questa vicenda diminuirono drasticamente: l’artista si rifiutò di testimoniare contro la sua tentata carnefice che, riconosciuta come inferma mentale, se la cavò con soli tre anni di carcere. Nelle foto Warhol e le celebri lattine di zuppa Campbell, un vero e proprio inno alla democrazia sociale creata dai tanto dileggiati libero mercato e società dei consumi!