Sono le 19:15 di un tardo giovedì pomeriggio parigino. Monsieur Kim, netturbino, incaricato di spargere di sabbia la strada d’accesso al teatro dell’Opera di Parigi, fa difficoltà a svolgere il suo lavoro: due uomini non hanno intenzione di togliersi dalla sua traiettoria. Ostinato e diligente Monsieur Kim riesce a convincerli e finalmente a concludere la sua commissione. Poco dopo, gli stessi uomini, insieme ad altri due prendono posto sul marciapiede di via Le Peletier in attesa che arrivi l’imperatore accompagnato dalla sua consorte. La strada comincia ad essere gremita, una moltitudine di donne e uomini acclamano la carrozza blindata che una volta entrata in rue Le Peletier si dirige verso il teatro. Giunge quasi a destinazione, quando dalla folla uno dei quattro uomini lancia qualcosa: una bomba, dopo pochi istanti, un altro si gira al compagno e grida “Lancia la tua”, l’amico esegue e fugge in un’osteria da dove sentirà il rimbombo del terzo scoppio. Tre bombe, quindi, 12 morti, 156 feriti e un marciapiede ricordato da tutti i testimoni come “pieno di sangue”. La paura e il terrore dilaga tra le persone presenti, la carrozza con l’imperatore e l’imperatrice Eugene rimane intatta, ma le vittime sono moltissime, i feriti cominciano così a fuggire in via Rossini e a trovare soccorso nella farmacia Vautrin di via Laffitte. Medicati alla svelta vengono riportati in strada per lasciare posto agli altri. Monsieur Dually vedendone uno in difficoltà, gli porge il proprio braccio e lo aiuta a raggiungere la stazione delle vetture che si trova all’incrocio con la rue de Provance consentendo la fuga a quello che sarà il principale indagato dell’attentato: Felice Orsini. E’ il 14 gennaio del 1858, giorno in cui Orsini, insieme a Giovanni Andrea Pieri, Carlo Di Rudio e Antonio Gomez con 5 bombe, costruite artigianalmente, provano ad uccidere l’imperatore Napoleone III come “condanna a morte pronunciata contro l’assassino della Repubblica Romana”. Felice Orsini era un repubblicano di origini romagnole dal passato turbolento. Di famiglia ricca, aveva evitato la galera per l’omicidio del cuoco di casa a causa dell’intercessione di un potente zio presso il cardinale di Imola Mastai Ferretti. Divenuto avvocato, si trasferi’ a Firenze dove aderi’ alla Carboneria e nel 1849 divenne deputato della Repubblica Romana. Terminata l’esperienza della Repubblica Romana a causa dell’intevento francese, si rifugio’ a Nizza da dove organizzo’ due fallimentari insurrezioni mazziniane in Lunigiana e in Valtellina. Fu arrestato e imprigionato dagli Austriaci nel castello di San Giorgio a Mantova. Orsini fu protagonista di una rocambolesca fuga, nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1856, grazie all’aiuto della facoltosa Emma Siegmund, che riuscì a corrompere i carcerieri e ad accompagnarlo in carrozza fino a Genova, da dove s’imbarcò per l’Inghilterra. L’evasione da una delle fortezze del Quadrilatero, ritenute inespugnabili e simboli della potenza austriaca nel Lombardo-Veneto, venne subito ripresa dalla stampa di tutta Europa, anche per l’incidente occorso ai fuggitivi che si tramutò in occasione di scherno verso il proverbiale rigore asburgico. Infatti, l’immediata inchiesta ordinata personalmente dal generale Radetzky, oltre alle complicità interne ed esterne al carcere, appurò che la carrozza con a bordo Orsini e la Siegmund ruppe il timone nel cremonese, davanti al posto di polizia austriaco della fortezza di Pizzighettone. I due vennero soccorsi dai gendarmi che provvidero a sostituire il timone rotto con uno nuovo, preso dai magazzini della fortezza. Dell’episodio si venne a conoscenza per il fatto che la Siegmund, presentatasi con il falso cognome di O’Meara, lasciò una somma per pagare il timone, ma la cosa non era prevista dai regolamenti militari. Il responsabile della contabilità, quindi, inviò un dettagliato rapporto all’amministrazione di polizia per sapere in quale capitolo potesse imputare l’entrata, così svelando che la fuga di Orsini era stata ingenuamente favorita proprio dalla gendarmeria austriaca. In Inghilterra, Orsini si rese conto di essere ormai diventato celebre in quel Paese e decise di stabilirsi a Londra, accettando la generosa offerta di un editore per scrivere le sue memorie che pubblicò nei volumi Austrian Dungeons in Italy, del 1856, e Memoirs and Adventures dell’anno successivo. Nel 1857 Orsini ruppe i legami con Mazzini e cominciò a preparare l’assassinio di Napoleone III. Cause scatenanti dell’odio verso il monarca francese furono l’aver affossato la neonata Repubblica Romana e il fatto che Napoleone III avesse chiaramente tradito gli ideali della Carboneria che egli stesso aveva professato in gioventù negli anni 1830-1831. L’attentato a Napoleone si rivelo’ un folle gesto fallimentare che provocò morti e feriti e che costò la vita allo stesso organizzatore. Tale episodio spianò tuttavia la strada a Camillo Benso conte di Cavour nel chiedere aiuto alla Francia. Fu infatti, lo stesso Felice Orsini a porre su un piatto d’argento la firma di quelli che passeranno alla storia come i patti di Plombieres. Dal carcere, quindi, prima di essere ghigliottinato il 14 marzo del 1858, Orsini scrive una lettera all’imperatore nella quale si legge: “Sta in poter Vostro fare l’Italia indipendente o di tenerla schiava dell’Austria e di ogni specie di stranieri. Gli Italiani vi chiedono che la Francia non permetta che la Prussia intervenga nelle future e forse imminenti lotte dell’Italia contro l’Austria. Io scongiuro Vostra Maestà di ridare all’Italia quella indipendenza che i suoi figli perdettero nel 1849, proprio per colpa dei Francesi. Rammenti Vostra Maestà che gli Italiani (e tra questi il mio padre stesso) accorsero a versare il sangue per Napoleone il Grande, dovunque a questi piacque di condurli; rammenti che sino a che l’Italia non sarà indipendente, la tranquillità dell’Europa e quella Vostra non saranno che una chimera. Vostra Maestà non respinga il voto supremo d’un patriota sulla via del patibolo: liberi la mia patria e le benedizioni di 25 milioni di cittadini la seguiranno dovunque e per sempre”. Napoleone III fu favorevolmente colpito da questa lettera e ne autorizzò la pubblicazione; i giornali presentarono Orsini come un eroe. Camillo Cavour, vista la popolarità che aveva raggiunto la missiva, sfruttò la situazione per aumentare la sua pressione politica sulla Francia affinché aiutasse il Piemonte e non lasciasse nelle pericolose mani dei rivoluzionari l’iniziativa di unificare l’Italia. Ciò condurrà in seguito ai celebri accordi di Plombieres. Felice Orsini (nella foto) venne ghigliottinato a Parigi, insieme a Pieri, il 13 marzo 1858.