LUPI E PECORE

LUPI PECORE

LUPI E PECORE

di Gabriele Galli

 Le recenti dimissioni del ministro Lupi a causa della solita vicenda di appalti poco chiari e familismi vari, ha provocato il solito stantio dibattito sulla corruzione nel nostro paese. Sono fioccate le solite grida di indignazione corredate dalla vana e usuale speranza che una classe politica onesta possa subentrare a quella attuale, marcia fino al midollo. Io penso che chi si scandalizza della corruzione dilagante non abbia ancora ben capito come stanno realmente le cose, pertanto ritengo utopico sperare che un bel giorno un onesto ci salverà da mazzette e raccomandazioni. È mia opinione che sia il sistema-Italia a produrre la corruzione. Sono infatti sicuro che se fosse possibile esportare il sistema-Italia nel paese meno corrotto del mondo esso diverrebbe in poco tempo corrotto quanto l’Italia. La corruzione nel nostro paese è infatti causata da uno Stato onnipotente e onnipresente. Lo Stato italiano controlla tutto: i trasporti sono pubblici, gli appalti sono pubblici, la sanità è pubblica, la scuola è pubblica, l’acqua è pubblica, tantissime aziende sono pubbliche o semi-pubbliche. Inoltre vi sono una serie di grandi aziende private gestite da imprenditori amici dei politici che vengono costantemente sussidiate con i soldi delle nostre tasse. Ora se qualcosa è pubblico significa che è gestito da dei politici. Ciò significa che per le mani dei politici in Italia passano un mare di soldi, parte dei quali finisce nelle loro tasche oppure viene utilizzato per procurarsi consenso politico. La corruzione è l’effetto, non la causa. Nella mente dell’Italiano medio sembra dunque verificarsi un corto-circuito. Egli da un lato sbraita contro la corruzione, dall’altro, però, crede a Beppe Grillo e a Vendola che gli dicono di votare contro la privatizzazione dell’acqua non rendendosi conto che questo significa lasciare milioni di euro nelle mani dei politici i quali continuano a aumentare le bollette e a non riparare acquedotti-colabrodo che disperdono il 50 per cento delle risorse idriche nazionali. Quelli che vengono chiamati “servizi pubblici” sono in realtà “disservizi pubblici” che lo Stato italiano ci obbliga a finanziare con le tasse sotto la minaccia di finire nel mirino dei suoi solertissimi “bravi”: la Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate e Equitalia. I “disservizi pubblici” non sono concepiti a beneficio del cittadino come la retorica dominante vuole farci credere, ma sono concepiti a beneficio dei politici e dei loro “clientes” ossia i dipendenti dello Stato e del para-Stato. La scuola, l’università, la sanità e tutta l’infinita lista di agenzie e aziende pubbliche e semi-pubbliche centrali e periferiche non hanno infatti come scopo quello di prendersi cura di noi “dalla culla alla tomba”, ma hanno lo scopo di creare posti di lavoro e stipendi e dunque consenso politico finanziato con i soldi degli altri ossia dei dipendenti del settore privato e dei lavoratori autonomi che oltre a dover farsi carico dell’insostenibile peso dei baracconi pubblici devono anche subire l’onta di essere perseguitati dai parassiti di Stato che li chiamano “evasori fiscali” Per sconfiggere la corruzione è dunque inutile invocare manette facili e processi sommari; un politico corrotto viene infatti sostituito da un altro politico che ben presto comincia a comportarsi nello stesso modo non perché è italiano, , perché è l’occasione che rende l’uomo ladro e lo Stato, purtroppo, è la più ghiotta delle occasioni. Solo un’ondata draconiana di privatizzazioni potrebbe spezzare il circolo vizioso che congiunge la corruzione, le tasse e la spesa pubblica incomprimibile. Privatizzare ciò che oggigiorno è gestito dai politici significherebbe togliere dalle loro mani il fiume di soldi che maneggiano, ossia far venir meno l’essenza stessa della corruzione. Non è davvero difficile capire perché. La maggior parte degli enti pubblici preposti alla fornitura dei “disservizi pubblici” sono infatti dei carrozzoni pieni di debiti i cui vertici sono gestiti da strapagati burocrati nominati dai politici. I politici usano dunque il loro potere di nomina per far ottenere posti di lavoro estremamente redditizi a amici, parenti e a “clientes” di ogni sorta. I criteri con cui i politici scelgono i vertici delle aziende pubbliche sono dunque estremamente diversi da quelli usati da un qualsiasi imprenditore per la propria azienda. L’imprenditore infatti sa bene che se si mette nelle mani di incapaci rischia seriamente di rimetterci un sacco di soldi o nel caso peggiore di chiudere i battenti. Per il politico questi rischi non esistono, essenzialmente per due motivi. Innanzitutto i soldi utilizzati per tenere in piedi il carrozzone non appartengono al politico, ma vengono estorti con le tasse ai cittadini, in secondo luogo un’azienda pubblica non ha il problema di far quadrare i bilanci. Infatti se i bilanci di un’azienda pubblica sono in rosso (ed è notorio che succede spessissimo), lo Stato alza le tasse e ne ripiana i debiti con i nostri soldi. In sunto se un’azienda privata ha debiti chiude e fallisce, se un’azienda pubblica ha debiti, lo Stato alza le tasse e si tira dritto. Il problema grosso è che l’italiano medio questo non lo capisce e quando sente parlare di privatizzazione comincia a credere alle bugie dei politici che gli raccontano che se privatizziamo questo e quello i poveri non potranno né curarsi né studiare e non avranno nemmeno l’acqua per lavarsi, anzi forse non avranno nemmeno un tetto sotto cui stare. Quando l’italiano medio capirà che la povertà esiste non per colpa del mercato, ma per colpa dello Stato che ci taglieggia per mantenere i propri disservizi imposti per legge, sarà troppo tardi. L’italiano medio crede che la libertà di mercato sia un male perché lo dicono tutti, Papa compreso, e continua a cercare risposte nello Stato. Lo Stato è il problema, non la soluzione. Lo Stato italiano è una macchina infernale che divora il 50 per cento della ricchezza nazionale per mantenersi e in cambio offre servizi di bassissimo livello. Nonostante tutte queste evidenze, però, l’italiano medio continua a pensare che il problema nazionale sia l’evasione fiscale. Il che equivale a dire che dare allo stato il 50 per cento della ricchezza prodotta non è sufficiente per farlo funzionare bene. Quindi devo dedurre che dovremmo dargli il 60, il 70, l’ 80, quanto ancora? A questo punto varrebbe la pena di abolire la proprietà privata e dare tutto allo Stato, tanto l’andazzo è questo. Se gli Italiani vogliono continuare a credere alla balla che un giorno arriverà un onesto in grado di far funzionare perfettamente la macchina pubblica facciano pure, ma sappiano che un’utopia non diventa realtà solo perché è diffusa tra la maggior parte delle persone.

Nella prima foto l’ex-ministro Lupi, nella seconda quegli Italiani che credono nello Stato.

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