Keynes e il modello IS-LM (di M. Frittomo)

In merito a debito pubblico, moneta e spesa pubblica, nei lustri e nei decenni vengono periodicamente riproposte da qualche partito o da qualche sedicente economista le tesi cosiddette “Keynesiane” (già tutte falsificate da una sessantina d’anni) secondo cui stampa di moneta ed inflazione ridurrebbero la disoccupazione (curva di Pillips) e stimolerebbero l’economia. Al contempo, dimostrerebbero che la riduzione di imposte e balzelli sarebbe ininfluente (modello “IS-LM”).

Ora, mentre la curva di Phillips si rivela una baggianata alla prima occhiata[1], per capire le incongruenze della “legge IS-LM” senza leggersi le confutazioni a cui fa riferimento il premio nobel M.Friedman, e le relative pubblicazioni di quest’ultimo, bisognerà parzialmente addentrarsi nella terminologia e nelle ipotesi fissate a sentimento dal keynesiano John Hicks ed arrivare al grafico che ne descrive i risultati.

La trattazione del modello che confuteremo ora è quella di wikipedia (qui), che lo presenta esente dalle osservazioni che lo hanno demolito.

Ho quindi ripreso tale descrizione, sintetizzandola ed aggiungendo tali osservazioni, al fine di proporne una lettura ed una confutazione semplice ma allo stesso tempo completa.

Y = produzione (Income)
C = Consumo (Consumer spending)
I = Investimento
G = spesa pubblica (Government spending)
r = Rate = tasso di interesse

Curva IS (Investment/Saving) sul diagramma (Y, r)
Equazione IS:             Y = C+I(r-1)+G cioè     PIL= Consumi + Investimenti + Spesa pubblica
Ipotesi: poiché I diminuisce all’aumentare di r, così anche Y.
In altre parole: trascuro il fatto che l’aumento di r possa essere una conseguenza dell’aumento di I.
Quindi:

a) l’aumento del tasso di interesse comporta giocoforza una diminuzione del PIL

Osservazione: non necessariamente. L’aumento del tasso può avvenire come conseguenza dell’aumento degli investimenti e dei consumi. Inoltre, il tasso di interesse della banca centrale (controllabile) non è quello del mercato (incontrollabile). Infine, alterare il tasso centrale indipendentemente dalla richiesta di moneta del mercato (cioè del PIL) conseguirà condizioni sempre sfavorevoli sul sistema economico.

 

 

b) Se aumento la spesa pubblica G, ipotizzando costante il tasso r, aumento il PIL (Y).

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione: sbagliato, perché:
. Se finanziassi G con le imposte, vedrei per forza diminuire C e I (causa imposte), non meno di quanto aumenterebbe G (=> Y’≤Y).
. Se ricorressi al debito, vedrei per forza aumentare il tasso r, sottraendo liquidità per I.
. Se stampassi e basta, idem (perché genererei inflazione, vedere sotto).
Il tasso r che conta non è infatti quello della banca centrale, che potrebbe anche essere controllabile, ma quello dalle banche al pubblico (gli investitori ed i consumatori). Il tutto trascurando il danno che l’investitore pubblico può procurare direttamente al mercato (quindi a Y) interferendo come operatore incompetente.

Conclusione: vero, nell’ultimo caso, ma solo nel breve periodo. Per non generare inflazione, l’aumento di G aumentando la massa monetaria dovrebbe conseguire un pari aumento della produzione e scambio di beni e servizi (Y) richiesti dal mercato. Ma la spesa pubblica G, diversamente da C ed I,  non è produzione, ma spesa. Quindi, il valore reale di Y’ sarà equivalente ad Y. Il problema è che l’inflazione aumenta r, quindi la posizione di E’, nel medio periodo, sarà Y’=Y ed r’ > r. Cioè pari ad Y precedente, ma in condizione di instabilità monetaria e tassi più alti. Cioè prodroma di una Y'<Y.

Curva LM (Liquidity-Money) sul diagramma (Y, r)

Equazione LM:           M = L (Y, r-1)     M rappresenta l’offerta di Moneta, L la domanda di Liquidità.
Ipotesi: L sarebbe direttamente proporzionale a Y (produzione), ed inversamente ad r (tasso di interesse). Quindi:

c) A parità di M (=L), l’aumento di Y (PIL) comporterebbe un aumento proporzionale del tasso di interesse.

 

 

 

 

 

Osservazione: Detto in termini monetaristi, se aumento gli scambi, la necessità L di mezzo di scambio (la moneta), aumenta. Quindi aumenta il suo prezzo (r). Questo è vero, ma solo nel breve periodo.

Il problema è che se, nonostante l’aumento di r, M non aumenta, l’aumento di scambi non potrà essere mantenuto. Quindi, superato l’effetto immediato, Y diminuirà esattamente al livello precedente, ma con r maggiore (investitori, consumatori o governo indebitati a tassi maggiori). Cioè, tutta la curva LM si sposterà più in alto, descrivendo una situazione economica sfavorevole, prodroma di recessione.
Quindi Y’ diminuirà sotto il livello di Y. Il contrario di ciò che la curva LM ipotizza.

Inoltre, la relazione trascura le variazioni di efficienza del sistema produttivo in conseguenza di I(r-1) [2] che mi sposterebbero l’intera curva verticalmente.


Intersezione tra le curve

1) E –>E’ per effetto dell’aumento della spesa pubblica G e di r inizialmente fisso.

2) Il disequilibrio finanziario mi sposterà verso E’’ (senza aumento di M).

In conclusione: ad un aumento di G, e senza aumento di M, conseguirebbero tassi più alti ma aumento di Y.

 

 

 

Osservazioni:  Poiché l’intero processo è eseguito senza aumento di M, il primo spostamento risulterebbe da un aumento di G mediante aumento di imposte o di ricorso al debito.
– Nel primo caso, non si avrebbe alcun aumento di Y, perché la diminuzione di C ed Y non sarebbe inferiore all’aumento di G.
– Nel secondo caso, aumenterebbe r.
In ogni caso, non si otterrebbe l’effetto voluto. L’unico modo sarebbe aumentare temporaneamente M, e poi ridurlo al livello precedente.
– Nella prima fase, si raggiungerebbe effettivamente E’, ma Y’ non sarebbe il valore reale (cioè netto da inflazione). Questo resterebbe uguale a prima.
– Nella seconda fase, si sottrarrebbe il mezzo di scambio. Gli scambi quindi tornerebbero al livello apparente precedente, ma ridotti rispetto al reale. Con un tasso r aumentato. Conclusione: ancora una volta, si sposterebbe l’ipotetica curva LM verso l’alto, con Y” inferiore a Y, e prodroma a diminuire ulteriormente.

Approfondimenti:
a) Se finanzio lavori pubblici infrastrutturali con denaro fiat, risulterà che, aumentando la domanda ma non la produzione di beni e servizi, Y = Y’ in termini reali (cioè al netto dell’inflazione). Finiti i lavori pubblici, la ricaduta della domanda causerà, sempre in termini reali, recessione. Unita ad un aumento dei tassi per compensare l’aumentata aspettativa in termini di inflazione.
b) Se invece l’aumento della spesa pubblica fosse permanente (assunzione di impiegati pubblici), ne risulterà una caduta degli investimenti [I(r-1)=Y-C-G], nonché povertà diffusa dovuta alla diminuzione del potere di acquisto (se più persone si dividono la stessa torta, ognuno avrà una fetta più piccola). Ed al precedente aumento dei tassi.
c) Se, infine, la spesa pubblica consistesse in una elargizione ai fini di investimento (I), si aprirebbe uno scenario di discriminazione tra investimenti, comunque forzati rispetto al naturale bisogno degli stessi, che turberà la concorrenza nel mercato e quindi il suo funzionamento. Se addirittura le istituzioni non fossero predisposte per la sorveglianza degli enti e dei funzionari pubblici, le elargizioni non finanzieranno investimenti ma detti enti o funzionari (ritorno ai casi a e b).

Conseguenze della teoria

L’ipotesi di Keynes/Hicks è che all’aumentare del benessere (cioè Y) diminuisca la propensione all’investimento (perché aumenta r) ed al consumo rispetto al risparmio improduttivo. Tale ipotesi è ovviamente assurda: come se, chessò, la Grecia che ha un basso PIL pro capite investisse più di USA o Svizzera che hanno un alto PIL.

Questa ipotesi portò comunque Keynes ed Hicks ad elaborare teorie secondo cui per migliorare l’economia bisognerebbe tassare di più, perché il troppo benessere renderebbe insufficienti gli investimenti ed il consumo, preludendo alla stagnazione e poi alla recessione economica. Al contrario, la spesa pubblica viene ipotizzata come infallibile produttrice di beni e servizi.

Tutte queste conclusioni, fondate su ipotesi di cui abbiamo descritto l’infondatezza, sono evidentemente smentite dai fatti storici, dalla logica e dall’esperienza quotidiana.

Conclusioni

Le curve IS ed LM sono plausibili, a certe condizioni, solo per un breve periodo, a causa delle inerzie reattive del mercato. Manovrarne i parametri (G, r, ed M) arbitrariamente conduce a modifiche al sistema economico che alterano le relazioni stesse, ovvero la posizione nel piano delle curve. L’errore è indotto dalla tentazione tipica dell’economista ad immaginare un modello economico “superfisso”, come ben spiegato da Sandro Brusco qui e qui.

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Note a piè di pagina

[1] La “curva” di Phillips è una teoria che sostiene una relazione inversa tra disoccupazione ed inflazione (cioè andrebbero in direzione contraria: più occupati, più inflazione). E che questa relazione sarebbe biunivoca. Cioè aumentiamo l’inflazione, ed aumentiamo l’occupazione. Basta un’occhiata alla storia monetaria recente del Venezuela, per capire l’assurdità di questa teoria.

[2] L’ipotesi sarebbe che l’investitore raggiunge un maggiore fatturato senza mai aumentare il margine e quindi senza ridure il proprio indebitamento. Al contrario, l’obiettivo di ogni investimento è proprio quello di ridurre l’indebitamento, e quindi il tasso r. Aumentare la produzione conseguendo un aumento proporzionale dell’indebitamento, o addirittura peggiorarlo con l’aumento di r, non è l’obiettivo di un investimento. Vista dal punto di vista del margine, invece, si può anche dire che l’aumento di questo (cioè della percentuale di ricavo rispetto alla spesa), aumenta Y in modo maggiore di L. Quindi neanche la relazione di proporzionalità costante tra Y ed L è necessariamente vera.

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