Con l’espressione “colpo di Zurigo” passa alla storia un’operazione dello spionaggio italiano che permise di individuare e neutralizzare la centrale dello spionaggio austriaco per l’Italia, collocata nel Consolato austro-ungarico all’ultimo piano di un edificio sito tra la Seidengasse ed il civico 69 della Bahnhofstrasse di Zurigo. Si tratta di un fatto poco conosciuto che tuttavia permise agli Italiani di sgominare completamente la rete spionistica Austro-ungarica nel Belpaese. Sul tema vi proponiamo l’interessante articolo di Lorenzo Cerimele, pubblicato su www.europinione.it
Due scassinatori, un avvocato doppiogiochista, due ingegneri e due ufficiali della Regia Marina italiana sotto mentite spoglie. Sono questi i protagonisti di questa storia di spionaggio – sconosciuta ai più – svoltasi durante il periodo della Grande Guerra.Sin dalla sua entrata in guerra al fianco degli eserciti dell’Intesa, l’Italia dovette affrontare, oltre all’esercito austroungarico, anche il suo terribile ed efficiente servizio segreto: l’Evidenzbureau (EB).Le azioni dei loro agenti segreti infiltrati, tra i quali sembrava addirittura figurasse il cameriere segreto di papa Benedetto XV, arrecarono gravissimi danni soprattutto alla Regia Marina, che si vide far saltare in aria due delle sue migliori corazzate nei porti di Brindisi e Taranto. Al contrario, il servizio di controspionaggio italiano presentava diverse carenze, sia dal punto di vista dell’efficacia che dell’organicità, in quanto fu allestito in fretta e furia contro quello che fino a pochi mesi prima era un alleato. Queste due pesanti perdite che, per numero di vittime (724), equivalsero ad una vera e propria sconfitta navale, gettarono nello sconforto e nella paura l’opinione pubblica del tempo. Perché, oltre al nemico esterno, era oramai chiaro che se ne doveva fronteggiare anche uno più pericoloso: quello interno, difficilmente individuabile e definito traditore. Non erano infatti pochi, gli italiani che, o per soldi o solamente per un ideale, passarono dalla parte del nemico, compiendo vari atti di terrorismo durante tutto l’arco della Grande Guerra. La reazione della Regia Marina non si fece attendere. Venne messo in piedi un ufficio di controspionaggio per impedire che episodi come quello di Brindisi si potessero ripetere. A capo dell’ufficio venne posto il capitano di vascello Marino Laureati che, con l’aiuto di un esiguo gruppo di agenti, avviò una serie di indagini. Fortuna volle che durante lo svolgimento di queste si verificarono due episodi particolari: nel primo fu protagonista un fruttaiolo napoletano che comunicò – indispettito – alla polizia italiana di essere stato contattato da un esule italiano in Svizzera “per affari molto delicati”. Il commerciante fu comunque spinto ad andare a Zurigo nelle vesti di infiltrato speciale per cercare di carpire più informazioni possibili; il secondo episodio vide i Regi Carabinieri cogliere sul fatto ed arrestare quattro italiani nei pressi di Terni mentre si accingevano a piazzare potenti cariche esplosive sotto la diga del bacino idroelettrico delle Marmore Alte e presso un deposito di armi. Uno di questi confessò di essere al soldo dei servizi segreti austroungarici (fu poi fucilato) e spiegò i meccanismi della rete. Le informazioni raccolte in questi due episodi smascherarono, tassello per tassello, l’esistenza di una vera e propria rete terroristica, che aveva il suo quartier generale nel consolato austroungarico di Zurigo. Il controspionaggio della Marina scoprì, infatti, che subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Vienna aveva spostato i suoi migliori agenti segreti presso il suddetto consolato con lo specifico compito di assoldare possibili “traditori” italiani per compiere attentati e sfiancare l’industria bellica nostrana. A capo dell’organizzazione vi era un ufficiale dell’Imperial-Regia Marina, Rudolf Mayer, la cui carica di vice-console era solamente una copertura. La replica del controspionaggio non si fece attendere: venne predisposta la partenza dell’ufficiale Pompeo Aloisi, diplomatico di carriera, presso l’ambasciata d’Italia a Berna, con il preciso compito di coordinare le operazioni sul suolo elvetico. Nel frattempo si verificarono i sanguinosi fatti di Taranto e Mayer, promosso di grado, ottenne il permesso di spostare il suo ufficio segreto dal consolato in un altro edificio nel centro zurighese. Il capitano Aloisi non aveva più dubbi: per annientare – o almeno rallentare – i piani degli austriaci bisognava recarsi nell’ufficio del Mayer e prendere tutti i documenti in cui comparivano i nomi dei collaboratori italiani e dei piani di sabotaggio. Aloisi cominciò così a studiare la situazione e a far sorvegliare – da alcuni seguaci italiani messi a sua disposizione – la palazzina dove aveva sede l’organizzazione austriaca. Il piano, arditissimo nei suoi modi, prevedeva di entrare nell’ufficio di Mayer ed aprire la presunta cassaforte dove si trovavano i progetti di sabotaggio e le cartelle dei sabotatori, smascherando così l’intera organizzazione.
Il ministero della Marina emanò un comunicato nel quale affermava (Aloisi e Laureati) che nessun ufficiale doveva essere coinvolto nel colpo. Ricevuti gli ordini, Aloisi mise in piedi la squadra dei partecipanti al “colpo”. Il primo fu l’avvocato livornese Livio Bini, un rifugiato a Zurigo per problemi finanziari, che segnalò l’ubicazione del covo di Mayer. Poi due ingegneri triestini, ottimi agenti segreti: Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti. Infine, gli “uomini di mano”: il sottoufficiale di marina ed esperto tecnico Stenos Tanzini, già arruolato nel controspionaggio navale, e un meccanico triestino, Remigio Bronzin. Infine, uno scassinatore professionista, Natale Papini, prelevato dal carcere di Livorno con una doppia scelta: o Zurigo o il fronte. Inoltre, i documenti ci narrano anche la presenza di un basista nell’ufficio che poteva muoversi indisturbato al suo interno: il suo nome però è rimasto ancor oggi incognito. Quest’ultimo fu importantissimo per tracciare il percorso da seguire, e per come prese i calchi delle serrature delle sedici porte che conducevano alla cassaforte.<img class=”alignright size-medium wp-image-11624″ alt=”Colpo Zurigo Tanzini” src=”http://www.europinione.it/wp-content/uploads/2014/02/Colpo-Zurigo-Tanzini-176×300.jpg” width=”176″ height=”300″ />
Il blitz fu deciso per la notte del 16 febbraio 1917. Poco prima della mezzanotte, Papini, Bronzin, Tanzini (il caposquadra) e Bini penetrarono nell’edificio. Ma, giunti di fronte alla porta dell’ufficio del Mayer, scoprirono l’esistenza di una diciassettesima porta non prevista da nessuno perché sempre vista spalancata. Provarono a forzarla, ma per timore di essere scoperti, presero il calco e tornarono indietro.
Quattro giorni dopo, una volta che anche la diciassettesima chiave fu ultimata, si decise di effettuare un secondo tentativo, per la notte del 21. Alle 21:30 i quattro entrarono nuovamente nell’edificio e pochi minuti dopo si trovarono difronte la cassaforte. Una volta aperta, sventata la trappola del gas tossico fuoriuscito una volta rimossa la lamiera esterna, i quattro rivelarono il suo contenuto: altissime somme di denaro (675 sterline d’oro e 875 mila franchi svizzeri), gioielli e una collezione di francobolli rarissimi. E molti documenti top-secret. Il bottino venne subito trasportato nell’ambasciata di Berna, dove si trovava il capitano Aloisi, che da qui, una volta catalogato, venne portato a Roma. I documenti contenevano tutti i nomi degli attentatori e collaboratori italiani, ma anche quelli degli agenti segreti austroungarici operanti in Italia e negli altri paesi dell’Intesa, nonché i piani per nuovi attentati, che comprendevano attacchi contro la Banca d’Italia e il Parlamento. Seguirono poi una quarantina di arresti e quasi altrettante condanne a morte. Fu un trionfo. L’intera rete di spionaggio austroungarica venne spezzata, compiendo così un atto che, secondo anche il parere dell’ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel, comandante supremo della Regia Marina, “valse più di una battaglia”.