29 MARZO 1516: GHETTO EBRAICO A VENEZIA, PRIMO IN EUROPA

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La presenza ebraica a Venezia è attestata già prima dell’anno mille, anche se bisognerà aspettare il tardo Trecento per poter apprezzare un insediamento consistente e stabile. Sino all’istituzione del ghetto gli israeliti, pur sottoposti a varie restrizioni, potevano vivere in qualsiasi luogo della città. All’inizio del Cinquecento gli sconvolgimenti della guerra della Lega di Cambrai portarono numerosi ebrei a riversarsi dalla terraferma a Venezia, destando sospetti e preoccupazioni da parte dei residenti cristiani. Il 29 marzo 1516 il Senato mise mano alla questione stabilendo che tutti gli israeliti dovessero obbligatoriamente risiedere nella località del Ghetto Nuovo. Nasce così un’istituzione che verrà poi ampiamente applicata anche nel resto d’Europa. Il Ghetto Nuovo si presenta tuttora come un’isola i cui accessi avvengono solo tramite due ponti. In corrispondenza di questi esistevano dei robusti cancelli che venivano chiusi e sorvegliati di notte, poiché agli abitanti era permesso uscire dal quartiere solo di giorno e con dei segni distintivi. Tutto ciò non impedì la crescita demografica della comunità, favorita anche da consistenti ondate immigratorie da tutta l’Europa. Per ricavare un numero sufficiente di alloggi si dovette provvedere all’espansione in verticale degli edifici; tutt’oggi le costruzioni del Ghetto, caso unico a Venezia, si caratterizzano per la notevole altezza, sino ad otto piani. Ciononostante, le autorità veneziane si trovarono costrette, in due occasioni, ad ampliare il Ghetto Nuovo: nel 1541 venne aggiunto il Ghetto Vecchio, concesso ai cosiddetti ebrei Levantini giunti dalla penisola Iberica e dall’impero Ottomano; nel 1633 venne aperto il Ghetto Novissimo, una piccola area a est del Ghetto Nuovo composta da appena due calli. Anche queste aree dovettero essere provveduti da ingressi sorvegliati. Nel corso del Cinquecento vennero edificate varie sinagoghe, una per ogni gruppo di omogenea provenienza. Così sorsero la Schola Grande Tedesca, la Schola Canton (rito ashkenazita), la Schola Levantina, la Schola Spagnola e la Schola Italiana. Gli edifici costituiscono tuttora un complesso architettonico di grande interesse. Via via la comunità si consolidava economicamente ed era ricca di fermenti culturali. Tradizionalmente gli ebrei veneziani esercitavano l’usura, o quella che veniva definita tale, cioè di fatto un’attività creditizia che ai cristiani era impedita da motivi religiosi, in quanto si riteneva contrario alla morale lucrare interessi su somme date a pegno. Rimangono numerosissime testimonianze letterarie ed epistolari di questa attività in quanto andare in ghetto a contrarre un prestito o a riscattare degli oggetti tenuti in garanzia, faceva parte degli usi abituali. I rapporti della comunità con la Repubblica furono instabili e periodicamente si svolgevano campagne di conversione. Chi aderiva cambiava anche nome assumendo quello di chi lo aveva indotto ad abiurare, spesso un membro dell’aristocrazia. Con la caduta della Repubblica e l’avvento di Napoleone furono eliminate le discriminazioni nei confronti degli ebrei i quali furono equiparati in tutto agli altri cittadini. Le porte del ghetto furono eliminate così come l’obbligo di residenza. Al giorno d’oggi questo complesso è rimasto abbastanza integro anche se gli ebrei veneziani sono ormai poche centinaia. Due sinagoghe sono tuttora aperte al culto e quasi tutti gli altri edifici della comunità svolgono ancora funzioni istituzionali (museo, casa di riposo ecc.).

Nella foto: il campo del Ghetto Novo.

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