Di famiglia povera, Oscar Romero venne ordinato sacerdote nel 1942 dopo aver studiato a Roma alla pontificia università gregoriana dove era stato inviato, data la particolare predisposizione per la teologia, dai suoi superiori nel seminario di San Miguel a El Salvador. Rientrato in patria, svolse il suo ministero di parroco per pochi anni. In seguito fu segretario di Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel. Venne poi chiamato a essere segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. Nel 1974 venne nominato vescovo di Santiago de María, nello stesso Stato di El Salvador, uno dei territori più poveri della nazione. Il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocò in lui una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali, anche grazie all’influenza del gesuita Jon Sobrino, esponente di punta della teologia della liberazione. I fatti di sangue, sempre più frequenti, che colpirono persone e collaboratori a lui cari, lo spinsero alla denuncia delle situazioni di violenza che riempivano il Paese. La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, lo trovò pienamente schierato dalla parte dei poveri, e in aperto contrasto con le stesse famiglie che lo sostenevano e che auspicavano in lui un difensore dello status quo politico ed economico. La morte di padre Rutilio Grande, gesuita, suo amico e collaboratore, assassinato assieme a due catecumeni appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, divenne l’evento che aprì la sua azione di denuncia profetica, che portò la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue. L’esercito, guidato dal partito al potere, arrivò a profanare e occupare le chiese, come ad Aguilares, dove vennero sterminati più di 200 fedeli. “Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”, gridò all’esercito e alla polizia. Come risposta a questa richiesta gli organi di stampa fedeli al regime pubblicarono una immagine di papa Giovanni Paolo II accompagnata da una frase del pontefice da intendere come monito: “Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti”. Le sue catechesi, le sue omelie, trasmesse dalla radio diocesana, vennero ascoltate anche all’estero, diffondendo la conoscenza della situazione di degrado che la guerra civile stava compiendo nel Paese. La sua popolarità crescente, in El Salvador e in tutta l’America latina, e la vicinanza del suo popolo, furono in contrasto con l’opposizione di parte dell’episcopato, e soprattutto con la diffidenza di papa Paolo VI che lo riteneva troppo vicino alla teologia della liberazione e dunque al socialismo. Non riuscì a ottenere l’appoggio del nuovo papa Giovanni Paolo II, che tenne conto delle sue notevoli capacità pastorali e della sua fedeltà al vangelo, ma fu molto cauto per il timore di una sua eventuale compromissione con ideologie politiche socialiste. Il 2 febbraio 1980, a Lovanio, in Belgio, ricevette la laurea honoris causa per il suo impegno in favore della liberazione dei poveri. Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, fu ucciso da un sicario su mandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA (Alianza Republicana Nacionalista). Nell’omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. “So che vogliono ammazzarmi, so che sono nel mirino dei violenti. Ma sappiate: se morirò risorgerò nella lotta del mio popolo”. E così è stato. Due colpi di fucile partiti dal fondo della chiesa lo colpirono mentre alzava al cielo il calice di Cristo. Giovanni Paolo II non presenziò al funerale, ma delegò a presiedere la celebrazione Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico. Durante le esequie l’esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro. Il 6 marzo 1983 Giovanni Paolo II rese omaggio a Romero, venerato già come un santo dal suo popolo, sulla sua tomba, nonostante le pressioni del governo salvadoregno. Il 23 maggio 2015 la Chiesa cattolica proclamerà Monsignor Romero “beato” avviando così la strada che lo condurrà alla santità. Nella foto Óscar Arnulfo Romero in un murale della Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Sociali dell’Università di El Salvador.