Con articoli contro lo stato sociale e Keynes, esce il primo numero de “Il Mondo”, periodico di cultura laica, anticomunista e antifascista che riuscì a conservare una linea di totale indipendenza dai «poteri forti» della politica e della finanza. Fra i collaboratori ebbe Ernesto Rossi, Giovanni Spadolini, Enzo Forcella, Antonio Cederna, Roberto Pane, Marco Pannella, Eugenio Scalfari, Tommaso Landolfi, Indro Montanelli, Vittorio De Caprariis e Panfilo Gentile. Tra i collaboratori stranieri la rivista annoverò gli scrittori Thomas Mann e George Orwell. «Il Mondo» ebbe un unico direttore durante tutta la sua esistenza (19 febbraio 1949 – 8 marzo 1966): Mario Pannunzio (nella foto). Quella di Pannunzio è una figura molto importante nel panorama culturale italiano di quell’epoca. Su Pannunzio e quel momento storico vi proponiamo un’interessante stralcio dell’articolo intitolato “Mario Pannunzio e il suo mondo” scritto da Pier Franco Quaglieni, presidente del Centro studi intestato al grande giornalista, apparso sulla rivista “Critica sociale” nel 2009.
L’avventura de “Il Mondo” comincia il 19 febbraio 1949; gli stessi collaboratori pensavano che sarebbe durata poco: si svolse, invece, lungo un arco di quasi diciotto anni.
La sede del giornale era costituita da poche stanze, a Roma, fravia Campo Marzio e via dei Prefetti. Fra una Democrazia Cristiana parzialmente arroccata su posizioni conservatrici e integraliste ed un Fronte Popolare aggressivo ed estraneo ai valori della democrazia occidentale, povero di idee e mancante di chiare scelte sia strategiche che politiche, le forze di estrazione laica e liberal-democratica cercavano uno spazio ed un ruolo che permettesse loro di offrire un’alternativa valida, un programma fatto di cose e di rigore morale senza compromessi, in linea con le grandi scelte occidentali.
Pannunzio, chiamando attorno a sé un gruppo di “eretici” del liberalismo e dando vita a “Il Mondo”, volle offrire a tali forze un punto di riferimento, una palestra di discussione e di elaborazione teorica ma anche una specie di “cassa di risonanza” per proposte e problemi. In breve, infatti, “Il Mondo” divenne la coscienza critica dei partiti democratici, il cruccio e il tormento degli ignoranti, dei disonesti, degli improvvisatori e di tutti gli estremisti, com’è stato scritto con accenti lapidari e forse anche un po’ retorici.
Uomini politici di tutto lo schieramento laico e democratico, dai liberali ai repubblicani, ai socialisti democratici (ricordiamo, fra glialtri, Nicola Carandini, Ugo La Malfa, Franco Libonati, Mario Ferrara, Leone Cattani, Giuseppe Saragat, Leo Valiani…), giornalisti (Ernesto Rossi, Alberto Ronchey, Paolo Pavolini, Antonio Cederna, Vittorio Gorresio, Alfredo Todisco, Nicola Adelfi e mille altri), storici e filosofi (Carlo Antoni, Vittoriode Caprariis, Enzo Tagliacozzo, Giovanni Spadolini, Aldo Garosci, Giuseppe Galasso), letterati (Mario Soldati, Vitaliano Brancati, Giovanni Comisso, Corrado Alvaro, Mario Tobino, Ignazio Silone, Ennio Flaiano…) salirono per anni le scale che portavano a “Il Mondo”, prima a Campo Marzio, poi, dopo alcuni anni, in via della Colonna Antonina, dando vita, inconsapevolmente, ad un circolo, l’unico – come è stato scritto e riscritto tante volte da Giovanni Russo – vero grande circolo di idee di vita politica e letteraria che abbia avuto l’Italia in quegli anni. Il filo che univa il lavoro degli amici de “Il Mondo” era costituito da un uomo, Mario Pannunzio, che ne guidò la battaglia dalla fondazione fino all’ultimo numero del giornale. Giulio De Benedetti, che gli fu amico, così lo descrisse: “Mario Pannunzio era un signore garbato, gentile, talvolta quasi frivolo, ma questa sorridente apparenza nascondeva il freddo coraggio del moralista laico”. A 39 anni era già austero; di raffinata cultura, era uomo di gusti semplici. Persone più anziane e rinomate di lui gli chiedevano un parere, giovani aspiranti al giornalismo gli si affidavano per imparare il “mestiere”. Arrigo Benedetti lo ha definito “un laico direttore di coscienze, con la virtù di valersi della categoria estetica per giungere anche a una valutazione etica e infine a un pacato giudizio storico”. Pannunzio dava a tutti la sua lezione di semplicità e di chiarezza, invitava a sfrondare, ad “andare al sodo”, a rifuggire dalla retorica (in quell’Italia parolaia, la sobria eleganza de “Il Mondo” fu giudicata “sofisticata” e la sua concretezza fu presa per moralismo). Pannunzio, in quegli anni, insegnò a scrivere a tanti, che poi presero le vie più diverse, indicando loro non soltanto “come” scrivere, ma anche, soprattutto, “cosa” scrivere. Pannunzio scrisse pochissimo, ma in certo modo fu una sorta di Socrate rispetto a Platone, anzi a tanti Platoni che scrivevano ispirati dalle idee di Pannunzio. In un paese in cui imperversavano già allora le raccomandazioni, e spesso i loschi traffici, Mario Pannunzio non scese mai a compromessi. Per essere più libero e per non essere influenzato da alcuna considerazione “materiale”, fin dall’inizio, volle essere tenuto all’oscuro della tiratura e delle vendite del giornale. Fu un fatto eccezionale dovuto alla straordinaria sensibilità soprattutto di due editori de “Il Mondo”, Nicolò Carandini ed Arrigo Olivetti, che dimostrarono una disponibilità che non avrà eguali in tutta la storia del giornalismo italiano e che consentì a Pannunziouna situazione di obiettivo privilegio. Il merito di Pannunzio fu essenzialmente quello di stimolare e riunire in modo continuativo il contributo di filosofi, scrittori, politici, artisti, giornalisti e storici, attorno al suo giornale. Fece parlare una lingua nuova in un’Italia ancora provinciale, bigotta, adulatrice dei potenti, attenta alle strizzatine d’occhio, superficiale e goffa.