A quell’epoca al Sicilia, come l’intero immenso Impero Romano era soggetta in quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate, sia pure occasionalmente, intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi.
Era un sistema spietato e calcolato, perché l’imperatore tendeva a fare più apostati possibile che martiri, i quali venivano considerati più pericolosi dei cristiani vivi. Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante, posta in ottima posizione geografica; il suo grande porto, costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo.
E come per tutte le città dell’Impero Romano, anche Catania aveva un proconsole o governatore, che rappresentava il potere decentrato dell’impero, ormai troppo vasto; il suo nome era Quinziano, uomo brusco, superbo e prepotente e circondato da una corte numerosa, con i familiari, un numero enorme di schiavi e con le guardie imperiali, dimorava nel ricco palazzo Pretorio con annessi altri edifici, in cui si svolgevano tutte le attività pubbliche della città.
Secondo la ‘Passio Sanctae Agathae’ risalente alla seconda metà del V secolo e di cui esistono due traduzioni, una latina e due greche, Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo cristiani, educarono Agata secondo la loro religione.
Agata a 15 anni espresse il proprio desiderio di consacrarsi alla religione cattolica; il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una cerimonia ufficiale chiamata ‘velatio’, le impose il ‘flammeum’, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate; divenne diaconessa e iniziò a occuparsi della preparazione dei giovani ai sacramenti del battesimo, della prima comunione e della cresima. La tradizione vuole che Quinziano si invaghì di Agata e le ordinò di rinnegare la sua fede: il rifiuto deciso della giovane la portò in un vortice di violenza, prima con il tentativo di distruggere i suoi principi morali trascinandola in ritrovi dionisiaci e orge poi con la violenza fisica.
Quinziano avviò un processo contro Agata: in pochissimo tempo, la giovane finì in carcere dove tentarono ulteriormente di piegare la ragazza. Dopo essere stata fustigata, fu sottoposta a un violentissimo gesto: le furono strappati i capezzoli con delle tenaglie (nella foto l’opera di Sebastiano del Piombo). Ancora, Agata fu costretta a camminare sui carboni ardenti. Alla fine, morì il 5 febbraio 251, diventando così la martire di Catania. Sant’Agata viene festeggiata dai catanesi tutti gli anni dal 3 al 5 febbraio e il 17 agosto. La prima data è quella del martirio della Santa catanese, mentre la data di agosto ricorda il ritorno a Catania delle sue spoglie, dopo che queste erano state trafugate e portate a Costantinopoli dal generale bizantino Giorgio Maniace quale bottino di guerra e dove rimasero per 86 anni. Dal 3 al 6 febbraio giungono a Catania pellegrini, turisti e curiosi provenienti da tutta la Sicilia. Insieme con il Patrimonio dell’Umanità delle città tardo barocche del Val di Noto (Sicilia sud orientale) conferito dall’UNESCO nel 2002, la festa di sant’Agata risulta “bene etno antropologico patrimonio dell’umanità” della Città di Catania nel mondo