3 MAGGIO 1979: MARGARETH THATCHER PRIMO MINISTRO

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Di umili origini, il padre aveva una drogheria in un paesino del nord dell’Inghilterra, essa sfidò l’imbelle establishment conservatore, incapace di opporsi alle politiche stataliste dei laburisti, e divenne la leader dei Tory nel 1975. La scalata verso il vertice del proprio partito non fu semplice, nemmeno per una donna come lei. I Tory erano imbrigliati nella cultura che fino ad allora il Welfare State aveva diffuso. I conservatori britannici erano paternalisti ed incapaci di scontrarsi frontalmente con gli onnipotenti sindacati britannici: le Trade Unions. La sua figura provocò molte spaccature interne, ma presto si capì che poteva essere proprio il suo essere forte e decisa a portare quel cambiamento di cui il Regno Unito aveva disperato bisogno. Il paese era infatti sull’orlo del baratro: i laburisti si resero conto che il Welfare State era insostenibile, il tasso di disoccupazione non smetteva di crescere e gli scioperi dilagavano. I quotidiani europei cominciarono a parlare del Regno Unito come de “il grande malato d’Europa”, appellativo che avrebbero riservato in tempi più recenti alla Grecia. E probabilmente il destino di Londra non sarebbe stato dissimile da quello di Atene se Margaret Thatcher non avesse trascinato il suo partito a una clamorosa e netta vittoria alle elezioni del 1979. Divenuta Primo ministro, in una decina d’anni Thatcher cambiò i connotati del proprio paese e della politica britannica obbligando, non solo il proprio partito a divenire moderno e liberale ma anche i laburisti a rincorrerla sul suo stesso terreno: quello della libertà economica e individuale. Non è infatti un caso che Tony Blair, una volta giunto al governo, abbia sostanzialmente lasciato immutato l’impianto di riforme varato da Thatcher. Questa, però, è un’altra storia; torniamo ora alla nostra Lady di ferro che, mossa da ferrei principi liberali (conosceva molto bene i teorici della scuola austriaca di economia, in particolare Hayek che applicò quasi alla lettera), orientò la sua azione politica principalmente su tre piani: la riforma delle relazioni sindacali, la privatizzazione delle inefficienti e costosissime aziende di Stato e la riforma della parassitaria burocrazia di Stato britannica. Fu in particolare durante il suo secondo mandato, quello che ottenne nel 1983, dopo la vittoriosa guerra delle Falkland, che Thatcher spinse sull’acceleratore per le riforme, dando vita a una delle più importanti svolte nella storia economica dell’Occidente: quella della vittoria del privato sul pubblico, dell’individualismo sul pansindacalismo, della meritocrazia sull’egualitarismo. Quando iniziò la sua opera, era sola contro tutti.  Avviò un processo di privatizzazioni, poi imitato in tutto il mondo, e perciò venne indicata al generale ludibrio dalla dominante cultura di sinistra.  Combatté la sua storica battaglia contro il sindacato dei minatori per ridimensionare lo strapotere delle Trade Unions, e perciò venne vilipesa come la nemica numero uno delle classi lavoratrici.  Quando decise di vendere tutte le case di proprietà pubblica ai rispettivi inquilini, fu denunciata perché dilapidava il patrimonio nazionale ma, in questo modo, risvegliò nei suoi concittadini il loro senso alla responsabilità individuale, mettendo fine alle assurdità di uno Stato assistenziale che, quando nacque, nel secondo dopoguerra, aveva preso l’impegno di assistere tutti “dalla culla alla tomba”.

Il suo primo grande scontro fu con i sindacati, allora legati a doppio filo al partito laburista, custodi implacabili quanto ottusi di anacronistici privilegi e principali responsabili del declino industriale del Regno Unito. Scioperare era la regola, più o meno come lo era in quell’epoca in Italia: si scioperava per la paga, per l’orario, per solidarietà con altre categorie, per risolvere contrasti tra una Union e l’altra: negli anni Sessanta, per esempio, tutti i cantieri navali rimasero fermi per settimane a causa di uno scontro tra fabbri e falegnami su chi doveva fare i buchi per le viti che univano le parti metalliche delle navi a quelle di legno. Margaret Thatcher mise fine a tutto questo con una legge che dichiarava lo sciopero illegale se non veniva previamente approvato a voto segreto dalla maggioranza dei lavoratori e rendeva i capi sindacali civilmente responsabili dei danni provocati da agitazioni non conformi alle regole. Ma, soprattutto, mostrò la sua determinazione nella vertenza per la chiusura delle miniere di carbone che ormai da moltissimo tempo operavano in perdita e, da grande risorsa quale erano state fino al 1950, si erano trasformate in una palla al piede dell’economia. Il leader del sindacato dei minatori Arthur Scargill, arrogante demagogo marxista vecchio stile che si era più volte vantato in pubblico di essere in grado di mantenere aperte le miniere anche se esse non creavano più un solo penny di utile, saltò sulle barricate e proclamò che mai e poi mai avrebbe tollerato un simile sopruso in nome del mercato. La lotta fu senza esclusione di colpi, con il governo che impose per oltre un anno severe restrizioni al consumo di carbone a tutta la nazione e il sindacato che si dissanguò per pagare un sussidio agli scioperanti. Perfino nel partito conservatore ci fu chi espresse una certa simpatia per i minatori. Thatcher tuttavia sapeva che su quello sciopero si giocava tutto, e fu inflessibile: alla fine gli scioperanti, regione dopo regione, cedettero, e la regola che lo Stato non era più disponibile a sussidiare aziende non suscettibili di risanamento fu affermata una volta per sempre. Da allora, non solo il potere delle Trade Unions nelle imprese è stato tagliato, ma gli stessi lavoratori britannici hanno deciso di punire i sindacati e nella loro maggioranza hanno infatti cessato di sottoscrivere tessere di adesione. Una volta riformate le relazioni industriali, con un notevole rafforzamento del management nei confronti della base, la Thatcher avviò, con la vendita di British Telecom nel 1984, il primo grande programma europeo di privatizzazioni. Alla British Telecom seguirono in rapida successione British Gas, British Airways, la Jaguar, la Rover e buona parte delle aziende di pubblico servizio, comprese alcune ferrovie e i servizi di autobus. I risultati che ne seguirono furono: una consistente riduzione del debito pubblico, la restituzione di efficienza e competitività a imprese che rappresentavano più del dieci per cento del PIL e davano lavoro a un milione e mezzo di persone e dominavano i settori vitali dei trasporti, dell’energia, delle comunicazioni, dell’acciaio e della cantieristica navale. Prima che arrivasse il ciclone Thatcher, in queste imprese si annidavano i germi del parassitismo pubblico, con la sua mancanza di incentivi a lavorare sodo, ad applicare gli ultimi ritrovati tecnologici, insomma ad aumentare la produttività. British Telecom e British Airways, liberate dalla zavorra di centinaia di dirigenti privi di iniziativa e di decine di migliaia di dipendenti in esubero, sono state per anni tra le aziende più efficienti del mondo nei rispettivi settori, diventando addirittura un punto di riferimento per i concorrenti.  Si creò così una piccola classe di azionisti; il governo spinse verso il mercato mobiliare anche in virtù dei prezzi estremamente competivi da esso fissati per le azioni. Si passò dunque ad una economia di servizi, ad un terziario avanzato che permise il cosiddetto Big Bang della City, cioè la totale liberalizzazione dei mercati finanziari che ha dato a Londra un vantaggio pressoché incolmabile sulle altre piazze. Uno Stato estremamente più leggero e quindi meno costoso permise una consistente riduzione fiscale, che creò investimenti, consumo e risparmio. Ciò trasformò il Regno Unito che, da paese sull’orlo del baratro, tornò a essere una delle prime economie del mondo.
Rivoluzionario fu anche il lavoro che Thatcher svolse per riformare le amministrazione pubbliche. La “Lady di ferro” varò il “New Public Management” che si proponeva di applicare i principi dell’impresa privata al settore pubblico con una serie di strumenti volti a “managerializzare” il settore pubblico: decentralizzazione, “spacchettamento” della PA, privatizzazioni e liberalizzazioni, monitoraggio della spesa pubblica, pareggio di bilancio per le singole unità, valutazione delle performance da parte di audit esterni, retribuzioni legate al risultato. Grazie alla sapiente collaborazione di manager provenienti dal settore privato, Thatcher impose budget da rispettare con rigorosità alle amministrazioni pubbliche, concorsi per dirigenza pubblica aperti a persone provenienti dal settore privato, flessibilità contrattuale dei dirigenti, fine dei contratti a tempo indeterminato, cambiamenti nella retribuzione con un sistema di premi per la produttività, innalzamento dell’età pensionabile. I dirigenti pubblici diventarono manager pubblici: iniziarono a lavorare senza orari, a riferire direttamente al governo e a essere valutati da società esterne in base ai risultati prodotti. Alla fine del 1997, l’opera di Thatcher fu infatti completata dal suo successore John Major, due terzi della amministrazione britannica lavorava in agenzia tarate su modelli aziendali. Thatcher riuscì laddove nessuno era riuscito mai: economizzò funzioni ed organizzazioni, semplificò passaggi e normative, rafforzò il prestigio dei manager pubblici con una grande operazione comunicativa.
Margareth Thatcher era donna semplice e siamo sicuri che apprezzerebbe il nostro semplice ringraziamento: Grazie Maggie! Grazie per averci reso fieri di dirci liberali!

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