Emilio Alessandrini (nella foto) nasce il 30 agosto del 1942 a Penne, in provincia di Pescara. Dopo la maturità classica, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli. Con una tesi in procedura penale, si laurea nel 1964. Nel 1967 vince il concorso in magistratura e l’anno successivo è sostituto procuratore della Repubblica a Milano. La prima grande inchiesta di cui si occupa è quella legata alla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Il 27 agosto del 1972 vengono incriminati Franco Freda e Giovanni Ventura. Il 6 febbraio del 1974 Alessandrini deposita in tribunale una requisitoria lunga e articolata in cui spiega il coinvolgimento di Freda e Ventura, racconta le responsabilità dei neofascisti, e, soprattutto, evidenzia i collegamenti fra l’eversione di destra e alcune frange degli apparati informativi dello Stato.Successivamente si occupò con particolare determinazione del terrorismo di estrema sinistra, avviando, tra l’altro, una delle prime indagini sull’Autonomia Operaia milanese. Questo impegno contribuì a metterlo nel mirino di Prima Linea, l’organizzazione eversiva guidata da Sergio Segio, Marco Donat Cattin, Susanna Ronconi, Bruno La Ronga. Infatti, nel settembre del 1978, nel covo di Corrado Alunni (Prima Linea) in via Negroli a Milano, vennero trovate tre sue foto. Il 29 gennaio 1979, a Milano, all’incrocio fra viale Umbria e via Muratori, otto colpi di pistola uccidono Alessandrini, che, come ogni mattina, ha accompagnato suo figlio Marco a scuola. È in macchina, fermo al semaforo. Sergio Segio, componente del gruppo terroristico di Prima linea, spacca il vetro dell’automobile di Alessandrini con il calcio della pistola e gli spara alla testa. Gli ultimi colpi provengono da Marco Donat Cattin. Come scrive Walter Tobagi all’indomani del delitto: ‘sarà per quella faccia mite, da primo della classe che si lascia copiare i compiti, sarà per il rigore che dimostra nelle inchieste, Alessandrini è il prototipo del magistrato di cui tutti si possono fidare, ‘era un personaggio simbolo, rappresentava quella fascia di giudici progressisti, ma intransigenti, né falchi chiacchieroni, né colombe arrendevoli’. E in effetti, Alessandrini coniugava il rigore richiestogli dalla professione con la necessità di capire i fenomeni più drammatici della politica e della società del suo tempo. Al terrorismo rosso aveva dedicato il proprio impegno dopo il processo per la strage di Piazza Fontana. Un impegno costante, espresso su fronti diversi. Solo grazie al terrorista pentito Roberto Sandalo, fu possibile, nel maggio 1980, rivelare ai magistrati inquirenti i membri del commando che uccise Alessandrini.Il processo si aprì nel maggio del 1983 e si concluse nel dicembre di quell’anno. La seconda Corte d’assise di Torino, dopo dieci giorni di camera di consiglio, condannò Sergio Segio all’ergastolo e Bruno Rossi Palombi a ventiquattro anni di reclusione. A coloro che si dissociarono dalla lotta armata, come Marco Donat Cattin, spettarono pene minori.