di Danilo Perini
Il titolo dice già molto e scommetto che qualcuno, leggendolo, si è messo subito sulla difensiva pensando “a me non capita, io riesco ad essere sempre obiettivo e quando sbaglio (quasi mai), lo ammetto”.
Are you sure? 🙂
Cerchiamo di vedere insieme le caratteristiche di questa distorsione mentale attraverso un passaggio tratto dal primo capitolo del libro “Io ci provo!” (M. Motterlini, P. Martini, A. Fedel, 2009, Azimut e Corriere della Sera), precisamente da pag. 34 a pag. 36.
<< A chi non è mai capitato di arrivare in ritardo? Normalmente ci si giustifica adducendo sveglie che non suonano, bambini capricciosi, auto che non partono o ingorghi stradali di dimensioni apocalittiche. Insomma, ci si focalizza sulle circostanze che ci hanno impedito di essere puntuali. Quando, invece, ad arrivare in ritardo – per le medesime cause – è un amico o un collega, tendenzialmente porremo l’attenzione su quanto avrebbe dovuto fare (mettere due sveglie, prendere il tram eccetera) per non essere il “solito ritardatario”; ovvero si giudicheranno i suoi comportamenti o, addirittura, la sua personalità senza nessuna considerazione del contesto, facilitante oppure ostacolante, che ha prodotto il suo ritardo.
In breve: se in ritardo arrivo io, non è colpa mia; ma se lo fai tu è tutta colpa tua.
Eccoci di fronte a una fondamentale distorsione della nostra mente, vale a dire l’errore di attribuzione: la tendenza a valutare in maniera asimmetrica i fattori cosiddetti “disposizionali”, cioè quelli basati sulla personalità o su certi tratti caratteriali; e quelli “situazionali”, che si riferiscono cioè alle circostanze in cui uno si trova. Abbiamo la propensione ad assumere che le persone intorno a noi agiscano in un determinato modo a causa della loro indole, perché tale è la loro natura; mentre, rispetto a noi stessi, è molto più probabile che si adducano fattori contingenti, indipendenti dalla propria volontà e dal proprio carattere.
Questione di prospettiva, insomma. Quella stessa prospettiva che probabilmente, in più di un’occasione, ci ha fatto venire il sangue alla testa mentre eravamo alla guida della nostra automobile. Stiamo tornando dall’ufficio, davanti a noi c’è una colonna di macchine. All’improvviso chi ci precede svolta senza mettere la freccia. Dalla nostra bocca fuoriesce come minimo un insulto colorito. Quando, però, è capitato proprio a noi di svoltare senza mettere la freccia, ecco allora che sono le circostanze a dover essere biasimate: eravamo stanchi e sovrappensiero, non ci eravamo accorti d’essere arrivati all’incrocio e poi quello lì mi ci stava proprio attaccato…
Chiaro, no? Mentre prima si trattava di incapacità (o peggio) altrui, ora la colpa è esclusivamente delle circostanze. Siamo indulgenti con noi stessi, scaricando la responsabilità di un errore all’eccezionalità della situazione. Benevolenza che scompare nel giudicare il prossimo. Allora il contesto ci appare pressoché ininfluente nel nostro giudizio e diventiamo spietati.
Tutto questo è vero quando si debbono giustificare i propri e gli altrui errori, le proprie e le altrui sconfitte. Ma il ragionamento è del tutto rovesciato di fronte ai nostri successi: se ho vinto, se ho superato un esame, se ho conseguito una promozione, se sono salite le azioni che ho acquistato, tenderò senza esitazione ad attribuirmi grandi meriti e virtù.
Attenzione perché, come avrai già prontamente intuito, questa trappola si cela insidiosamente anche dietro alle decisioni di investimento.
Se riuscissi a tenere conto che, quando conseguo un guadagno, è ANCHE merito di un contesto favorevole al successo della mia decisione, potrei cercare di comprendere meglio quali tra gli elementi esterni sono non ripetibili, casuali e, quindi, di evitare l’errore di considerarli stabili e costanti.
Simmetricamente, se riuscissi a tener conto che, quando conseguo una perdita, è ANCHE a causa di un mio errore di valutazione rispetto alle variabili del contesto, potrei analizzarlo, comprenderlo e, quindi, evitare di rifarlo.
Insomma, la morale è che bisogna rovesciare l’atteggiamento comune in questo modo: quando vinci analizza le circostanze che ti hanno aiutato e quando perdi concentrati sui tuoi errori. >>
Se ci pensi, è un po’ come quelli che condannano i social networks per la diffusione del fanatismo e del presunto “spirito cafone” che ha portato all’elezione di Donald Trump… ma non erano stati proprio i social ad aver favorito l’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca nel 2008? E’ sempre colpa delle circostanze?
Fonte: “Io ci provo!” (M. Motterlini, P. Martini, A. Fedel, 2009, Azimut e Corriere della Sera)