SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Un tranquillo weekend di paura” di John Boorman (1972)

di Roberto Bolzan

Burt Reynolds, che ci ha lasciato in questi giorni, ha avuto la grande fortuna di incontrare un regista superlativo come John Boorman in un film straordinario come Deliverance (Un tranquillo week end di paura, come è stato felicemente tradotto in italiano).

Quattro amici decidono di lasciarsi alle spalle la città per un weekend e di scendere in canoa un fiume che verrà presto deviato da una diga in costruzione.
I quattro conoscono subito la poca ospitalità degli abitanti del luogo che vivono in povertà e in alcuni casi con figli menomati da tare genetiche.
Iniziata la discesa a violenza esploderà per iniziativa di due rudi montanari che aggrediranno il gruppo.
Nella battaglia che si scatena nella foresta morirà uno degli amici ma i tre sopravissuti, arriveranno, sconvolti e trasformati, alla fine del viaggio.

Per capire di cosa parliamo c’è la sequenza nella quale un bambino di campagna dall’età indefinibile e un sofisticato uomo di città si sfidano in un poetico duello musicale tra banjo e chitarra acustica.

La sequenza è da vedere ed è emozionante, come solo il cinema nella sua essenza più pura può fare. Qui siamo ben oltre Incontri ravvicinati: lì la musica serviva un manifesto intellettuale, tutto sommato freddo e distaccato, di fratellanza universale. Qui è il preludio carnale di un film violentissimo e morboso. La violenza tra gli Appalachi non si è ancora scatenata: è la quiete prima della tempesta.

E’ il momento di nascita del gothic americano, il thriller che si svolge tra cittadine rurali e popolazioni arretrate, dove la violenza è materiale e immanente. Parliamo di Cane di paglia, contemporaneo, di Craven e Hooper, di Le  colline hanno gli occhi, di Non aprite quella porta e di tanti altri film dei quali questo è il precursore.
Ma Deliverance non è solo horror, è anche storia di viaggio e di trasformazione. E’ un altro livello. Boorman (Excalibur, Esorcista 2) è un altro livello.

E’ quasi impossibile pensare ad un film del genere oggi, non tanto per la crudezza delle scene quanto soprattutto per il contrasto con il dibattito attuale. Oggi non si potrebbe mostrare l’uomo di città con arco e frecce ipertecnologici a confronto con il villico armato di fucile. Il dibattito ne seguirebbe, mortale e dissanguante. E la natura? Restituita in tutto il suo spietato splendore dalla fotografia di Vilmos Zsigmnod non si scompone (‘Boorman e Zsigmond allora desaturarono i colori e soprattutto smorzarono i verdi per “sbarazzarsi di ogni gradevolezza”’). Resta a guardare e si lascia guardare. Potemmo oggi rappresentarla con tanta crudeltà?

E poi, infine e decisivo, a noi che non disprezziamo il danaro ma pensiamo che le idee abbiano strade loro per manifestarsi: il budget di soli 2 milioni. Quando c’è l’intelligenza non c’è bisogno d’altro.

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