SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Snowden” di Oliver Stone (2016)

locandinapg3di Roberto Bolzan

 

Abbiamo già scritto di Oliver Stone, a proposito di un film sperimentale e pazzesco, geniale e straordinario, Assassini nati.

Dieci anni dopo lo stesso regista, la stessa persona, ha prodotto un film sul comandante che ieri ci ha lasciati (senza che ci dispiacesse, se è consentita una nota personale). E’ da ricordare che l’intervista a Fidel Castro viene ritirata dal produttore HBO poco dopo l’uscita in seguito all’esecuzione a Cuba di tre dirottatori (leggasi gente che provava a scappare dal regime) e l’arresto di 70 dissidenti, evidentemente giudicando insostenibile la propaganda alla dittatura castrista.
Questo per dire che conosciamo le idee bislacche del regista, ma non abbiamo paura di nulla e ne parliamo ugualmente, senza remore. D’altronde egli si definisce anarchico e la cosa di per sé c’interessa. Abbiamo infatti molti amici che fanno la stessa confusione e pensiamo che una ventata d’aria fredda debba prima o poi arrivare a rimettere in ordine le idee; ma oggi non è così e quindi non trascuriamo nulla di quel che ci arriva di utile per le nostre riflessioni.

Il 5 giugno 2013 il Guardian rivela un ordine segreto del Fisa che dimostra che il governo degli Stati Uniti ha imposto a Verizon di trasferire alla National Security Agency (Nsa) i dati relativi a milioni di telefonate.
Il 6 giugno arriva la storia di PRISM, il programma che permette alla NSA di accedere direttamente a email, foto, trasferimento di file, video, comunicazioni ad altri utenti sui social, in possesso di Google, Facebook, Apple, Microsoft, Skype, ecc
L’8 giugno Snowden rivela l’esistenza dii Boundless Informant, un tool della Nsa che facilita l’analisi dei dati raccolti legandoli alla loro provenienza.
Il 9 giugno Snowden esce allo scoperto e rivela di essere lui l’uccellino che ha raccontato la faccenda; “Non voglio vivere in un mondo dove tutto quello che faccio e dico viene registrato. Ho deciso di rivelare tutto senza nascondermi dietro l’anonimato perché detesto il segreto.”
Il 23 giugno Snowden lascia Hong Kong con destinazione Mosca. Qui rimane nell’area transiti dell’aeroporto.
Tra il 28 ed il 30 giugno viene rivelato dal Guardian che 38 ambasciate sono controllate con vari tipi di strumenti di intercettazione, compresi i palazzi dell’ONU e del Consiglio europeo. Crisi diplomatica.
Il 3 luglio Evo Morales, presidente della Bolivia, di passaggio a Mosca, viene costretto ad atterrare a Vienna, dove il suo aereo viene perquisito, Si teme che Snowden sia a bordo.
Il 31 luglio il Guardian pubblica notizie sul programma XKscore, usato per controllare le chat di Facebook, la posta elettronica e la cronologia di navigazione. Senza mandato.
L’1 agosto Snowden riceve un visto temporaneo della durata di un anno. Ora è a tutti gli effetti un rifugiato in terra russa.
Questi i fatti, di cui poco ci ricordiamo, pur avendoli seguito all’epoca con attenzione.

Il film ripercorre queste tappe e racconta in flashback la vita di Edward (Joseph Gordon-Levitt) dall’inizio della sua storia con la fidanzata Lindsay Mills (Shailene Woodley) fino al suo esilio in Russia.
Ci sono tante altre cose dentro, come il nero (black budget) con cui l’Agenzia si finanzia, le gerarchie di fiducia con cui classifica i suoi alleati , i rapporti privilegiati con il GCHQ inglese il tentativo continuo di violare la sicurezza digitale delle aziende straniere, l’intento deliberato di minare la sicurezza degli utenti di internet creando delle debolezze da poter sfruttare nei cyber-attacchi, e via dicendo.
Non c’è nulla di illegale in quel che viene rivelato, perché è tutto soggetto ad autorizzazione da parte di tribunali che operano segretamente (tribunali FISA), e infatti la goccia che fa traboccare il vaso, convincendo Snowden a entrare nella clandestinità, non è tanto il sistema messo a punto dall’Agenzia, moralmente discutibile ma necessario per tutelare il paese dagli attacchi esterni, quanto piuttosto il fatto che a essere vittime della raccolta segreta di informazioni da parte dei servizi americani non siano solo gli stranieri ma anche e soprattutto i cittadini statunitensi.

Già l’esistenza di tribunali segreti, consentitemi di dirlo, dovrebbe farci sobbalzare sulla sedia. Eppure, a distanza di due anni, la vicenda sembra ricoperta della polvere dell’indifferenza e dell’oblio.
Forse è questo: che le nostre vite fossero registrate, catalogate, scansionate era cosa risaputa. Le compagnie telefoniche hanno i nostri dati, i siti ed i social che usiamo li accumulano e li scambiano, lo sappiamo, il nostro cellulare può essere attivato a nostra insaputa a può registrare e filmarci, lo sospettiamo.
Esistono applicazioni che consentono l’anonimato e la crittografia è un’arma potente in mano al singolo che si vuole difendere. E basta togliere la scheda al cellulare per fare perdere le tracce. Eppure nessuno lo fa, i politici si fanno intercettare e si espongono al ricatto come dei polli. Solo pochi sfuggono alla sorveglianza così comodamente attuata dai governi: Totò Riina comunicava con i pizzini e immagino che i terroristi in Medio Oriente non lascino tracce con il GSM.
Forse abbiamo l’intima coscienza che a questo non è evitabile ed abbiamo ormai modificato la soglia della privatezza, siamo sul palcoscenico globale, lo sappiamo e ci comportiamo di conseguenza. Da questo punto di vista il film fa l’occhiolino a un mondo, quello vagamente complottista ed antiamericano, che non lo ha veramente premiato all’uscita. Il disincanto richiedeva qualcosa di più, forse.

Due momenti indimenticabili: quando Lindsay viene a sapere che le sue foto di nudo possono essere viste dall’Agenzia, così come tutto della sua vita, e dice “ma non ho fatto niente da nascondere” e mentre lo dice la frase appare assurda, perché tutti abbiamo qualcosa da nascondere, e il diritto di farlo; e il secondo quando il direttore dell’Agenzia, enorme sullo schermo a parete, lo inquisisce e lo incalza, minacciandolo e  facendo apparire minuscolo. Scene da Grande fratello, in un mondo che con il Grande fratello ha imparato a fare i conti e forse a beffarlo.

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