di Roberto Bolzan
Di tanto in tanto siamo costretti a vedere dei film francesi. Di qualunque nazionalità siano i film diventano francesi quando gli attori parlano, parlano, parlano e dopo un po’ perdete il filo e non v’importa più nulla del mare di chiacchiere.
Esistono film francesi di qualunque nazionalità ma il filo conduttore è la permanenza del regista a Parigi in qualche periodo della sua vita. Il vizio s’attacca e non si perde più. D’altronde il genere piace, in particolare alle signore, e quindi perché condannarlo?
Il concerto si svolge ai tempi di Brežnev, come si vedrà anche nel finale, che è l’unico scopo del film. Andreï Filipov dirige la celebre Orchestra del Teatro Bol’šoj ma cade in disgrazia perché si rifiuta di espellere dalla sua orchestra i musicisti ebrei e viene tenuto com uomo delle pulizie.
Una sera trova casualmente un fax del Théâtre du Châtelet che invita l’orchestra ufficiale a suonare a Parigi. L’idea folle è immediata: riunire i suoi vecchi amici musicisti e portarli a Parigi, spacciandoli per l’orchestra del Bol’šoj. E suonare il Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij per rivalsa per l’ingiustizia subita.
I musicisti vivono fuori dal mondo e le loro richieste economiche sono tanto straccione che il budget praticamente intonso consente di assumere anche la giovane e brillantissima violinista francese Anne-Marie Jacquet, per altro affascinata sia dalle musiche di Čajkovskij che dal nome del grande Filipov.
I prevedibili casini scatenati da una truppa di poveracci improvvisamente in possesso, a Parigi, di un centinaio di Euro a testa fanno da contrappunto ad una cena tra Filipov e Anne-Marie, dove questa fa di tutto per fare imbestialire noi spettatori per la freddezza e la degnazione che mostra all’eroe chiacchierone che vive nel passato.
Senza alcuna prova si arriva all’inizio del concerto. All’assolo di Anne-Marie succede la magia e la magistrale interpretazione della violinista trascina tutti gli altri musicisti a dare il meglio e ad offrire una prova esemplare che entusiasma il pubblico.
Anne-Marie, si apprende, è figlia di due musicisti ebrei della vecchia orchestra, la grande violinista Lea e suo marito Ytzak. Allo scioglimento dell’orchestra, entrambi vennero deportati in Siberia, dove Lea impazzì prima di morire, seguita dal marito. Lea, prima di partire per la Siberia, partorì una bambina che, affidata ad amici, venne salvata nella custodia del violoncello di un’orchestrale che la portò in Francia, dove crebbe.
Filipov porta finalmente a termine il suo concerto e rende il massimo onore all’amica Lea, che rivive nel talento della figlia.
Il film vive del finale, e non solo per merito della musica di Čajkovskij. Il concerto è la parte nella quale, smesso il parlare, vivono le emozioni finalmente sgelate dalle chiacchiere, con quel po’ di giusta retorica che ci vuole.
Per il resto, Parigi è Parigi, i violinisti tzigani hanno le manine d’oro con il volino, che per suonare Čajkovskij serve sempre, il ristorante francese ora propone falafel e danze del ventre ed il francese è d’antan (“Je vous baise chaleureusement” e la bella violinista giustamente rimane basita). Splendido il ritorno dei musicisti, tutti colorati e trendy, che incontrano all’aeroporto i grigi musicisti funzionari del Bol’šoj.
Mihăileanu è più noto per Train de vie, la dimostrazione che si può essere divertenti parlando di olocausto ma con umorismo yiddish, molto meno usando l’accento toscano.
Il film è divertente, il doppiaggio da barzelletta con un fuortissmo accento russo. Se potete guardatelo in originale, eventualmente con sottotitoli.