di Danilo Perini
Per te 100 euro valgono sempre 100 euro? Può sembrare una domanda stupida eppure capita che il nostro cervello dia un valore diverso allo stesso ammontare di denaro a seconda delle circostanze. Non ne sei convinto?
Allora continua a leggere l’articolo dove riporto un episodio liberamente tratto dal primo capitolo del libro “Economia emotiva” del Prof. Matteo Motterlini (Bur Rizzoli, 2006), precisamente da pagina 19 a pagina 23.
<< E’ la domenica del derby. Stai andando allo stadio. Appena arrivi all’ingresso ti accorgi di avere perso il tuo biglietto di tribuna arancio da 150 euro.
Cosa fai, ricompri il biglietto?
(Prendi il tempo che ti occorre e rispondi onestamente; se non ti piace andare allo stadio immagina di andare a teatro o quello che ti pare)
Stesso scenario, sei sempre all’ingresso dello stadio. Ma questa volta invece di aver smarrito il biglietto di tribuna arancio, che non avevi ancora acquistato, ti accorgi di aver perso 150 euro che avevi nella tasca della giacca.
Cosa fai, compri il biglietto?
—
La maggior parte delle persone che si è sottoposta a un esperimento simile non ricomprerebbe il biglietto nel primo caso ma lo acquisterebbe nel secondo. Eppure, in termini strettamente economici, il dilemma è sempre lo stesso: in entrambi i casi siamo diventati più poveri di 150 euro, e in entrambi i casi dobbiamo decidere se vedere il derby oppure no. Ma allora perchè prendiamo decisioni diametralmente opposte?
[…]
A quanto pare ognuno di noi tende ad organizzare i soldi in una serie di categorie diverse e a trattarli in funzione della loro provenienza, del modo in cui sono conservati e del modo in cui vengono spesi. Insomma ognuno di noi fa dei veri e propri “conti mentali” secondo “matematica” che ha ben poco a che spartire con quella imparata sui banchi di scuola. Il modo in cui gestiamo mentalmente questi conti spiega le nostre scelte incoerenti e il diverso valore che, in circostanze diverse, attribuiamo allo stesso ammontare del denaro.
Ripercorriamo insieme le scelte fatte.
Nel primo scenario (biglietto da 150 euro smarrito) la maggior parte delle persone codifica questa perdita all’interno del conto mentale divertimento (o conto mentale squadra del cuore). Il riacquisto del biglietto andrebbe così a sommarsi alla spesa già sostenuta, sempre a scopo di divertimento, per il primo biglietto smarrito: ci troviamo dunque a dover decidere se spendere complessivamente “300 euro di divertimento”. Una bella somma, per un pò di svago; tant’è che con buona probabilità la giudicheremo eccessiva preferendo riununciare alla nostra serata allo stadio (o a teatro). Non è così nel secondo scenario. Qui la perdita di 150 euro “senza nome” e il costo del biglietto appartengono in qualche modo a categorie diverse, gestite da conti mentali distinti. Tant’è che, per la maggior parte delle persone, comperare il biglietto appare una scelta accettabile: in divertimento spenderemmo infatti solo 150 euro, una cifra che tutto sommato possiamo concederci per la nostra squadra del cuore; mentre il fatto che altrettanti soldi siano andati smarriti, per quanto possa dispiacerci e farci arrabbiare, incide solo marginalmente sulla nostra decisione, è una questione a parte.
[…]
Nella nostra testa il denaro non è insomma un’entità astratta, esatta e assoluta. Tendiamo invece ad attribuire un valore relativo, che si colora dell’esperienza e delle emozioni che vi associamo. Siamo dunque propensi a considerare (e a spendere) diversamente i soldi della tredicesima, quelli che troviamo a sorpresa nella tasca di una giacca smessa da tempo e quelli per i quali abbiamo sudato sette camicie. Facciamo calcoli distinti per l’acquisto di un libro di testo, di un abbonamento a teatro, di uno skipass, di un biglietto della lotteria o di una quota azionaria. E se abbiamo deciso di investire una parte consistente dei nostri risparmi nell’acquisto di un bene costoso, finiamo col non badare a spese (o meglio, a quelli che percepiamo come dettagli marginali rispetto alla spesa che ci disponiamo a fare).
Il fenomeno psicologico dei conti mentali – scoperto, sviscerato, e confermato sperimentalmente dall’economista di Chicago Richard Thaler – è anatema per la teoria economica che sostiene, giustamente, la tesi della fungibilità del denaro: vale a dire che 100 euro vinti alla lotteria, 100 euro di stipendio, 100 euro di eredità, devono avere lo stesso valore monetario.
Il fatto che la nostra testa ragioni, nella realtà, in maniera poco rispettosa della teoria economica è un fenomeno tanto pervasivo quanto potenzialmente dannoso: assegnare un valore relativo a soldi che mantalmente riteniamo “differenti”, ma che in termini assoluti hanno lo stesso potere d’acquisto, può infatti portarci facilmente a essere troppo veloci nello spendere e troppo lenti nel risparmiare. >>
Ammettilo, e’ capitato più di una volta anche a te, vero?
Fonte: Economia emotiva (Matteo Motterlini, Bur Rizzoli, 2006)