di Massimo Testa
Cosa fa di norma lo stato?
Divide i cittadini in categorie di tutti i tipi, produttive, reddituali, anagrafiche e chi più ne ha più ne metta.
Mette in lotta queste categorie fra loro continuamente e grazie al giuspositivismo, quella scuola di filosofia del diritto oggi imperante secondo la quale la legge non fa riferimento a un insieme di regole astratte e generali comunemente accettate e in continua evoluzione nel tempo, ma esclusivamente alla legislazione che lo Stato stesso produce di volta in volta, legifera secondo i suoi intendimenti e le sue politiche.
Ciò favorisce, o fa credere di favorire, sempre interessi particolari, mai l’interesse generale.
Un esempio della conflittualità sociale che un simile sistema di cose produce lo possiamo facilmente riconoscere nel dibattito che sta seguendo alla proposta di cancellare la reversibilità delle pensioni.
Vediamo da un lato persone anziane che vedono cancellare un qualcosa su cui hanno fatto affidamento, dall’altro persone più giovani che, stufe di versare consistenti contributi previdenziali per vederli finire in tasca ad altri, plaudono all’iniziativa.
E’ un falso dibattito, pure stupido, se solo si prende asetticamente in considerazione il vero problema, che è il sistema pubblico previdenziale nel suo insieme.
Solo da pochissimo tempo questo prende (rebbe) in considerazione quanto effettivamente versato, mentre fino a ieri mattina è stata erogata una pensione che, senza nessun rapporto con quanto effettivamente versato, si riferiva alla retribuzione del soggetto.
Questa pratica demenziale ha ovviamente sconquassato i conti dell’Inps, senza tenere conto poi che i fondi lì giacenti sono stati in passato usati dai vari governi per tutt’altri scopi, come se quel denaro non fosse di proprietà di chi lo stava accumulando, ma dello Stato (e così, drammaticamente, è nella pratica).
Il risultato dello stato “gestore” è quello che chiunque può vedere: nessuno accumula niente; finché un numero congruo di persone versa contributi la cosa galleggia più o meno, se questo calerà le pensioni sono a rischio.
Ergo, è un sistema intrinsecamente fallimentare.
Questo sistema va terminato!
Una persona ha diritto di effettuare il proprio risparmio previdenziale come crede, facendolo gestire a chi crede, e di ritirarlo quando e nella forma che crede.
E’ semplicemente assurdo che lo Stato stabilisca quanto debba lavorare una persona nella sua vita, che si appropri dei suoi risparmi, che li eroghi a sua discrezione.
Il Cile affrontò, e con grande successo, il problema negli anni 80, e riformò il sistema previdenziale, che era simile al nostro, dando l’opportunità al lavoratore di versare i propri contributi scegliendo a chi farli gestire, potendo cambiare la propria scelta, senza porre limiti di età per andare in pensione.
In poche parole, liberalizzò completamente il settore (lasciando che chi preferisse affidare i propri soldi allo stato continuasse, volontariamente, a farlo).
Ognuno in questo modo è padrone di se stesso, del suo risparmio e della sua vita; il suo risparmio è di sua proprietà e lo stato non può prelevare alcunché dalle singole posizioni per le sue, false, “politiche sociali”.
Come e perché il Cile ha potuto farlo?
Perché non aveva un debito pubblico monstre come quello italiano, cosa che a dispetto di quanto affermano certi sprovveduti è un fardello pesantissimo, assieme alla spesa pubblica, per qualsiasi cambiamento.
Ma questa è l’unica strada per parlare di previdenza in maniera seria, senza perdersi in sciocchezze.
In un sistema privatistico il denaro accumulato e la prestazione che ne consegue sono di proprietà di chi lo ha risparmiato: con una semplice assicurazione la reversibilità è una clausola contrattuale, che ha un costo e che fa sempre riferimento al denaro depositato.
Non sarebbe ora di prendere in considerazione il problema reale, lo Stato gestore previdenziale, invece che perdere tempo in un accanimento terapeutico che prolunga la sua agonia, ma non lo mette per niente al riparo dalla sua prevedibilissima implosione?