PERICLE, DEMOCRAZIA E PRIMI DUBBI.

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di Andrea Babini

Era consuetudine, in Atene, che alla fine di ogni anno si celebrassero le esequie dei caduti per la patria, cosi nel 431 a. C., in occasione della commemorazione dei caduti del primo anno della guerra del Peloponneso, tale compito spettò a Pericle, che del conflitto con Sparta era stato il massimo fautore .Da una lettura più attenta dell’epitaffio di Pericle si evince tuttavia come, in realtà, la celebrazione dei morti costituisca un mero pretesto per una presentazione ideologica della situazione politica : il tema prioritario, l’elogio dei caduti, viene affrontato piuttosto marginalmente ricorrendo ai luoghi comuni tipici dell’oratoria funebre, ma i cinque più importanti capitoli centrali sono interamente dedicati all’esaltazione di Atene e delineano un manifesto ideologico di chiarezza e potenza straordinarie. Occupano uno spazio preponderante, quindi, l’esaltazione della democrazia e della libertà sia nella sfera pubblica sia in quella dei rapporti privati, il rispetto delle leggi, la bellezza delle feste e dei riti, l’abbondanza e la varietà dei prodotti che allietano la vita di Atene, il rapporto equilibrato fra parola e azione. Atene è, in primo luogo, paradigma, modello esemplare degno di emulazione da parte degli altri; è democrazia in quanto guarda all’interesse di una collettività ampia invece che di una ristretta minoranza; Atene è, in conclusione, scuola dell’Ellade.
Il discorso di Pericle ci è riportato in realtà da Tucidide, costituisce il famoso “Epitaffio” ed è diventato nell’immaginario europeo, per tutti i motivi precedentemente elencati, un “manifesto” simbolico del concetto stesso di democrazia. Quale occidentale riesce a non commuoversi e non ritrova in qualche modo le proprie radici culturali leggendo le famosissime parole dell’epitaffio:

“Abbiamo un sistema di governo che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori. E poiché esso è retto in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, esso è chiamato democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica nell’amministrazione dello Stato, ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale più che per quello che vale….Amiamo il bello, ma con compostezza, e ci dedichiamo al sapere, ma senza debolezza; adoperiamo la ricchezza più per la possibilità di agire, che essa offre, che per sciocco vanto di discorsi, e la povertà non è vergognosa ad ammettersi per nessuno, mentre lo è assai più il non darsi da fare per liberarsene.”
Questa percezione dell’Epitaffio di Pericle come di un manifesto democratico è così profondamente radicato nella cultura del vecchio continente da far sì che, quando è stata elaborata la bozza del preambolo della Costituzione europea (diffusa il 28 maggio del 2003), coloro che hanno elaborato quel testo, tra i più autorevoli, l’ex presidente francese Giscard d’Estaing, hanno pensato di imprimere il marchio greco-classico alla nascente Costituzione anteponendo al preambolo una citazione tratta dall’epitaffio. Nel preambolo della Costituzione europea le parole del Pericle tucidideo si presentano in questa forma: “La nostra Costituzione è chiamata democrazia perché il potere è nelle mani non di una minoranza ma del popolo intero”.

Busto di Pericle
Busto di Pericle

Ma è davvero cosi che dobbiamo leggere le cose? La democrazia era già percepita dai suoi antichi inventori come questo felice modello di convivenza? Un sistema tanto perfetto e privo di criticità da poter essere idealizzato nell’Epitaffio e con queste parole trasmesso acriticamente? O piuttosto già i greci e lo stesso Pericle intuirono la tensione fortissima e irrisolvibile tra l’idea di governo delle maggioranze e libertà individuali? Sotto questo profilo ci sembra interessante citare l’interpretazione di un grande studioso del mondo antico, il prof. Luciano Canfora, persona agli antipodi sul piano delle opinioni politiche rispetto a chi scrive qui, ma la cui idea sull’Epitaffio ci appare condivisibile (anche se i presupposti da cui parte sono opposti ali nostri, egli parla di “libertà come pericolo per la democrazia” e noi di democrazia come pericolo per la libertà).
La tesi di Canfora è che, sin dalla Grecia antica, i concetti di democrazia e libertà si siano trovati in conflitto. Ciò è ancor più vero, a suo avviso, nel mondo attuale, in cui al trionfo della libertà individuale corrisponderebbe un grave deperimento dei principi democratici (a noi, ripetiamo, par piuttosto vero il contrario).
Democrazia era il termine con cui gli avversari del partito “popolare” definivano tale governo, intendendo metterne in luce proprio il carattere violento (kràtos indica per l’appunto la forza nel suo violento esplicarsi). Per gli avversari del sistema politico ruotante intorno all’assemblea popolare, democrazia era dunque un sistema liberticida. Ecco perché Pericle, nel discorso ufficiale e solenne che Tucidide gli attribuisce, ridimensiona la portata del termine, ne prende le distanze, ben sapendo peraltro che non è parola gradita alla parte popolare, la quale usa senz’altro popolo (dèmos) per indicare il sistema in cui si riconosce. Prende le distanze, il Pericle tucidideo, e dice: “si usa democrazia per definire il nostro sistema politico semplicemente perché siamo soliti far capo al criterio della maggioranza, nondimeno da noi c’è libertà”, libertà che risiede nel fatto che “nelle controversie private (cioè: in tribunale), spetta a tutti la stessa parte (cioè: non si commettono soprusi)”. Questa frase, di solito fraintesa dagli interpreti, diventa chiara solo se la si pone in relazione con il realistico giudizio di Tucidide stesso sull’epoca periclea come di “una democrazia solo a parole”, non ci sono soprusi in tribunale vuol dire infatti che in tribunale non si esercita quella oppressione nei confronti dei ricchi che sarebbe, secondo la visione di tutti i pensatori ateniesi del V e del IV secolo, la caratteristica essenziale della democrazia (cosa peraltro non vera a quanto pare dalle cronache).
Alla luce di quanto detto diventa interessante una completa analisi della serie di bassezze filologiche che si ritrovano del “preambolo” della UE, a cominciare dall’utilizzo della parola “costituzione” per tradurre politèia che indica piuttosto il sistema politico (le costituzioni sono un prodotto dello stato moderno) e ad ogni modo si può sofisticare quanto si vuole, ma la sostanza è che Pericle pone in antitesi “democrazia” e “libertà”.
Mettere in discussione i fondamenti della democrazia parlando davanti al popolo sembra inverosimile. Ancora di più in una comunità come quella ateniese dove “l’attentato alla democrazia” era il reato più grave, eppure ad Atene poteva succedere: non certo davanti all’assemblea popolare o davanti ad un ancor più intransigente tribunale, ma dalla scena, nell’ambito di una azione scenica, dunque dinanzi ad una folla ben più numerosa di quella più o meno politicizzata che frequentava l’assemblea.
Per esempio accade nelle “Supplici” di Euripide, tragedia nel bel mezzo della quale si svolge uno scontro dialettico pro e contro la democrazia. L’audacia di una tale iniziativa passa spesso inosservata. Eppure è una vera enormità che sia potuto accadere. Euripide, che non era molto amato dal pubblico e che aveva anche amicizie politiche sospette, aveva preso le sue cautele. Così, ad esempio, gli argomenti contrari alla democrazia (l’incompetenza del «cittadino comune» al quale non possono affidarsi decisioni delicate e cruciali, la immancabile deriva demagogica etc.) li fa esprimere da un personaggio odioso. Però resta il fatto che i suoi argomenti rimangono senza risposta. L’antagonista, che è addirittura Teseo, il sovrano ateniese cui una leggenda patriottica attribuiva una mitica fondazione della democrazia, si lancia a sua volta in un altisonante elogio della stessa, ma quelle due critiche capitali non le affronta nemmeno. L’efficacia di tali critiche non è dato conoscerla, ma possiamo immaginare che seminassero il dubbio e comunque è notevole vederle espresse in un luogo pubblico e popolare come il teatro piuttosto che in ristretti ambienti aristocratici.

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A ben vedere, le parole di Teseo, così formulate e politicamente corrette, sono inficiate dal fatto stesso che chi le pronunzia è un re, il quale però afferma che “in questa contrada il governo non è di un solo uomo, ma del popolo, il quale comanda attraverso il sistema dell’alternanza annuale delle cariche”.
E d’altro canto, come detto, anche Tucidide definirà quella dell’Atene di Pericle una democrazia solo a parole, arrivando subito a individuare l’altra grande minaccia, la deriva demagogica in mano a un solo uomo (quello che i romani poi chiameranno “princeps”) capace di raccogliere e gestire il consenso e di cui il grande politico ateniese sarà l’esempio più significativo.
Pericle fu un leader fallimentare in politica estera e capace di inanellare una serie impressionante di sconfitte militari; a lui e ad Alcibiade (che faceva parte del suo clan, gli Alcmeonidi) si devono le due più catastrofiche iniziative militari ateniesi: la spedizione in Egitto per sostenere la ribellione anti-persiana che costerà 250 triremi e la spedizione a Siracusa che terminerà con la fine tragica di 6000 giovani soldati ateniesi nelle orribili cave delle latomie. Eppure Pericle si rivelò un politico assai spregiudicato nel raccogliere il consenso e mantenerlo, la sua leadership fu esercitata ininterrottamente sulla città fino alla sua morte per peste. Non si può escludere anzi che tale necessità di raccogliere consenso fosse alla base della politica estera aggressiva e imperialista di Atene. La guerra era per lo più guerra per mare e nelle triremi trovavano impiego come rematori a salario i proletari della fazione popolare che sosteneva Pericle. A dispetto di quanto non si sia portati a credere in politica estera la democratica Atene era assai più muscolare e aggressiva della militarizzata Sparta (che evitava la guerra, in quanto essendo fondata su una ristretta élite temeva più di tutto le crisi demografiche). Ma Alcibiade è entrato nella storia come avventuriero, mentre Pericle, grazie alla prosa, fraintesa ancorché idolatrata, dell’Epitaffio, si trova stabilmente tra i grandi e saggi statisti. Il che tanto più colpisce se si considera che la catastrofica scelta di andare allo scontro con Sparta, che della democrazia ateniese fu la tomba, fu dovuta proprio a lui. Certo oggi la demagogia non necessita guerre, per raccogliere consenso in modo clientelare i leader politici hanno a disposizione l’inesauribile contenitore della pubblica amministrazione e le stremate risorse dei contribuenti produttivi.
Cercar di capire cosa effettivamente fu il lungo predominio di Pericle, quale compromesso tra potere personale, e di clan, e “demagogia” stesse alla base di tale regime, è uno dei punti cardine per la comprensione della storia ateniese del V secolo. Non è facile addentrarsi in un terreno così complicato e la discussione divampò già al tempo di Pericle e nel secolo seguente; basti pensare alla critica anti-periclea di Platone, nato un anno dopo la morte del grande leader politico.
Tutto questo per sminuire Tucidide e le meravigliose enunciazioni del suo epitaffio? Per screditare la gloriosa storia dell’epopea ateniese? Certamente no, la cosa più sbagliata che si può fare con la storia è approcciarla con tono “giudicante”. Ed è vero che siamo quello che siamo perché un percorso irripetibile, fecondo e nobilissimo chiamato civiltà occidentale iniziò all’ombra del Partenone. Ma ci sembra importante far notare come, da subito, la democrazia, pur liberando energie enormi e aprendo spazi nuovi, rivelò ai primi “cittadini” tutti i suoi pericoli in termini di libertà individuale e esercizio dell’azione politica. Forse fin dalla prima assemblea.
E’ bene tenerne conto e non farne un feticcio ideologico.

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. A leggere questa pubblicazione, vengono in mente gli anni del liceo. Una volta, era su queste letture e relative discussioni che si formava l’uomo. Oggi invece si insegna comunicazione e si inseguono fantasmagorici progetti che, poco o nulla .incidono sulla formazione.

  2. Stesicoro Caronda Zaleuco ?

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