di Andrea Babini
L’argomento che mi appresto a trattare è al tempo stesso controverso e di grande attualità. Al di là del titolo fantasioso dell’articolo, riuscire a distinguere le informazioni prive di valore scientifico da quelle affidabili e sicure è diventato vitale per chi vive nel mondo contemporaneo e nell’era di internet.
In realtà il problema delle truffe, delle “cure miracolose”, ma anche solo della cura tradizionale più dannosa che altro, c’è sempre stato. La figura dell’imbonitore, che porta il suo carretto pieno di rimedi “sicuri” contro ogni malanno di paese in paese, appartiene alla nostra storia e alla nostra letteratura, come del resto tutti noi siamo stati qualche volta nella vita curati con un “rimedio della nonna”, rimedi che a volte attengono al buon senso e altre volte somigliano più a esorcismi che a terapie mediche.
La prima domanda da porsi è “perché” siamo circondati da così tante “cure fantasiose” (o quantomeno non scientifiche) e la seconda è come distinguere la scienza dalla non scienza, per permetterci di orientare le nostre scelte consapevolmente. Perché questo è un punto fondamentale da capire, qui nessuno vuole contestare il vostro diritto di cittadini a curarvi liberamente, il tentativo è piuttosto permettervi di farlo in coscienza e consapevolmente. La vera libertà infatti nasce da un’informazione corretta. Una volta che avrete le corrette informazioni nessuno vi negherà il diritto di curarvi con l’urino-terapia se lo volete (si, esiste gente che lo fa).
Perché tante “cure fantasiose” e tanta cattiva informazione?
La prima cosa da capire è che truffe e inganni si generano sempre laddove esiste un forte interesse economico e, credetemi, la salute è uno di quegli aspetti della vita intorno ai quali questi interessi si concentrano più facilmente. E’ abbastanza intuitivo il motivo per cui la Salute è percepita da tutti noi come una cosa fondamentale. Buona salute significa più vita e miglior qualità della medesima ed è logico che siamo disposti a investire su di essa attenzione e risorse, energie e denari; non possiamo che essere sensibili all’argomento.
Purtroppo la salute non è però uguale per tutti, non ci viene distribuita in modo uniforme e non è così scontato che ne potremo godere (al di là del “diritto alla salute” che la politica in passato ha preteso di sancire); inoltre coloro che se ne dovrebbero occupare con competenza e qualità sembrano ostinatamente non volerci offrire soluzioni “semplici” e comode. Questa è al tempo stesso la grande bellezza e la debolezza della scienza, essa è rigorosa, persegue la verità e, se seria, non promette quasi mai soluzioni semplici o prive di conseguenze (le famose controindicazioni e gli effetti collaterali in questo ambito). Ecco quindi che facilmente si apre la strada a un grande mercato per coloro che, senza molti scrupoli, desiderano attrarre la nostra attenzione (e i nostri denari) con promesse da marinaio di guarigioni complete, facili e indolori.
Volutamente fino ad ora non ho parlato di scienza “ufficiale” contro “medicina alternativa” e nel proseguo della trattazione farò lo stesso. Questo perché intendo sgombrare il campo da un grave inganno che circola soprattutto in rete, ovvero che possano esistere una scienza ufficiale ed una alternativa. Non è cosi, Esistono la scienza e altre cose che non sono la scienza.
Una teoria scientifica, per essere definita tale, si deve avvalere di un metodo (elaborato nei secoli) che si basa su sperimentazioni, comprensione del fenomeno e dei meccanismi d’azione che lo regolano e conferme sperimentali a vari livelli; la scienza per affermare qualcosa deve produrre una rigorosa documentazione (o letteratura) a conferma di quanto asserisce, non è mai autoreferenziale e assertiva. Non cala dall’alto verità assolute senza alcuna prova o spiegazione. Non pretende di fare discendere la propria autorevolezza da una presunta “tradizione” o da esperienze “personali” che non siano quantificate e misurate con metodo sistematico e ripetibile.
Torniamo ora a noi e alle nostre aspettative. In pratica di fronte a un problema serio, come un tumore o una grave patologia degenerativa, come pazienti corriamo il rischio di trovarci di fronte a queste alternative:
1) la scienza medica che ci offre una guarigione nel 45% dei casi dopo una durissima e debilitante chemioterapia; o una cura dall’efficacia limitata solo sui sintomi della malattia, magari attraverso l’uso di farmaci dai pesanti effetti collaterali.
2) Il ciarlatano (magari con una laurea in medicina appesa nello studio) che ci promette la completa remissione della malattia usando con regolarità una misteriosa “tisana alle erbe” o facendo una dieta mirata.
Risulta abbastanza evidente come la tentazione di indulgere verso la seconda opzione possa essere fortissima, soprattutto in coloro che con la scienza non sono abituati a confrontarsi, non ne conoscono il funzionamento o, peggio ancora, la vivono con sospetto.
E qui veniamo all’altro aspetto della questione, la percezione che abbiamo della scienza e il rapporto distorto che molti di noi hanno con essa.
Purtroppo per la sua stessa natura la scienza è oscura ai più; in fondo si tratta di qualcosa di assai poco “democratico” in un mondo che noi tendiamo a voler sentire come democratico, nel quale siamo portati a pensare che tutte le opinioni si equivalgono e hanno lo stesso valore. Ora, se questo può essere vero per tanti aspetti della vita (relativamente, perché che ci piaccia o no delle competenze dovremmo sempre tener conto, anche quando chiediamo quali sono le zucchine migliori al fruttivendolo), non è affatto vero in ambito scientifico. Nella scienza le opinioni non sono tutte uguali. Capita spesso nel mio lavoro a banco che una cliente mi chieda un rimedio assolutamente incongruo con il problema che l’affligge; e non è infrequente, di fronte alla richiesta di spiegazioni, sentirsi rispondere cose come “funziona, me l’ha detto mia cugina” o “la mia vicina di casa lo fa sempre e mi ha assicurato che è ottimo”. Inconsapevolmente attribuiamo alla cugina o alla vicina le competenze che a fatica saremmo disposti a attribuire a un primario o a un medico di base. Il motivo? Li percepiamo come “vicini”, famigliari e quindi affidabili mentre la scienza è lontana, fredda, apparentemente indifferente e parla un linguaggio incomprensibile.
Ma, se vogliamo riuscire a capire quando ci possiamo fidare, dobbiamo cambiare questo modo di vivere la scienza e tornare a sentirla come qualcosa di utile e importante.
Un paio di anni fa l’ESA (Ente spaziale europeo) ha fatto atterrare un suo modulo su una cometa sparata nello spazio profondo a 70mila chilometri all’ora a una distanza di 500 milioni di chilometri dalla terra. E’ qualcosa che poche decine di uomini al mondo saprebbero fare, ma questo non toglie che essi spingano tutta l’umanità verso un più alto livello di conoscenza. Il fatto che la Scienza sia complicata, rigorosa e poco incline alla fantasia non significa che sia aliena da noi. Capirlo è il primo passo verso una corretta informazione riguardo a questioni sanitarie.
Quindi la scienza medica è perfetta e non ci inganna mai? Decisamente no! Perché anche la scienza è attività umana e gli uomini, tutti gli uomini anche i luminari, sbagliano o possono essere mossi da interessi poco nobili.
Ora vi farò alcuni esempi “storici” e contemporanei di “cattiva scienza”.
Per non essere tacciato di partigianeria, partirò dal mio settore. Non vi nascondo che io stesso a volte sono sorpreso di quante cose assai poco rigorose dal punto di vista scientifico si possano trovare sugli scaffali di una farmacia (e la mia non fa eccezione). In farmacia si vendono a volte prodotti la cui efficacia terapeutica, il cui meccanismo d’azione e la cui validazione scientifica sono non dico discutibili, ma poco rigorosi. Oggetti come i “coni” di cera per le orecchie, i braccialetti per curare il mal d’auto, i braccialetti di rame per prevenire malanni e stress, i braccialetti per l’equilibrio (il braccialetto sembra fare molta presa, non vi ricorda un amuleto?) sono solo la punta dell’iceberg; al di là di questi esempi piuttosto evidenti vi sono altre categorie di prodotti intorno alle quali è da sempre in essere un acceso dibattito e sui quali una larga parte del mondo scientifico si dichiara apertamente scettico, ad esempio i fiori di Bach o l’omeopatia (al di là delle opinioni a riguardo, ma si parla appunto di opinioni, non di fatti scientifici).
Lo stesso mercato degli integratori dietetici è ormai una giungla dove a prodotti di un certo valore (e che comunque sono pensati per compensare carenze in assenza di una sana alimentazione o in seguito a stati patologici) si mescolano vere e proprie pozioni da stregoni degne di Harry Potter (ma assai meno magiche) tipo cartilagini di squalo e altre diavolerie.
A inaugurare questa tradizione dell’integrazione della dieta fu negli anni ’50 “l’olio di pesce” che doveva (non si sa bene su quali basi) avere l’effetto di “migliorare le prestazioni scolastiche” degli studenti. Nel mondo anglosassone in quel periodo vi fu una vera e propria moda e alcuni istituti privati vantavano la somministrazione sistematica del prodotto ai giovani iscritti come parte integrante del programma formativo. In seguito si vide che gli studi a sostegno dell’olio di pesce erano tutti sballati ed erano stati costruiti con metodo antiscientifico alterando la raccolta dei dati per forzarne i risultati. D’altro canto ci siamo liberati dallo scorbuto, una grave patologia che affliggeva i marinai che passavano lunghi mesi in nave senza mangiare verdure fresche, attraverso la somministrazione di succo di limone ricco in vitamina C (lo scorbuto dipendeva da questa carenza).
Ma nonostante (su richiesta del cliente e non certo per mia iniziativa) mi sia capitato forse di vendere cose in cui faticavo a credere non mi sento in colpa più di tanto, perché fuori dal canale e sulla rete il livello di fantasticheria ingannevole si raggiungono vette ben più alte; si arriva a parlare di fantomatici rimedi per l’impotenza, coni podalici da mettere al mignolo, bracciali contro le energie negative per arrivare fino agli “anelli per l’immortalità”.
Ma usare la salute e millantare effetti pseudo terapeutici allo scopo di pubblicizzare prodotti anche non farmaceutici o alimentari è all’ordine del giorno, si pensi all’acqua che elimina l’acqua (vi svelo un segreto, qualsiasi acqua elimina l’acqua, si chiama diuresi) o alle bevande che mettono le ali….anni fa c’era una liquirizia (ottima peraltro) la cui pubblicità diceva “mangia tabù e camperai di più” (probabilmente in virtù dei noti effetti lassativi della liquirizia, che però è anche ipertensiva quindi escludo allunghi la vita)
E la medicina? Quella ufficiale? Quella che dispone di grandi mezzi e di cui vorremmo tutti poterci fidare ciecamente? Ha mai ingannato l’uomo? Si, purtroppo in rari casi è successo. Ecco un esempio famoso che i meno giovani ricorderanno. La Thalidomide.
Questa è la storia di un farmaco sperimentato durante gli anni cinquanta e messo in circolazione dopo il percorso sperimentale standard dell’epoca e che rappresenta uno dei casi più raccapriccianti di malasanità della storia. Perché in realtà il percorso (già allora molto meno accurato rispetto agli standard di oggi) non fu affatto seguito in modo rigoroso e furono con estrema leggerezza ignorati dati e rilievi di pericolo che avrebbero invece dovuto essere approfonditi. In particolare due studi si concentrarono sulle donne in gravidanza e portarono alla conclusione che la thalidomide non dava loro effetti collaterali, ma di fatto ignorarono potenziali effetti sul feto. Quindi il prodotto fu messo in commercio dalla ditta produttrice tedesca Grünenthal come antinausea (era assai efficace) non controindicato in gravidanza e date le caratteristiche si diffuse rapidamente, soprattutto in Europa.
Nel 1960 però il professor Widukind Lenz presentò a un congresso pediatrico il caso di due bambini malformati e qualcuno iniziò a sospettare che la Thalidomide potesse essere la causa. In realtà ad un anno dall’immissione in commercio del farmaco si ebbe una clamorosa impennata dei casi di focomelia nei neonati segnalati dai pediatri all’azienda che continuò la produzione del farmaco fornendo in risposta una documentazione che comprovava la sicurezza in gravidanza del prodotto. In realtà essa affermava che in un reparto di ostetricia si usava regolarmente il suo prodotto senza avere rilevato casi di malformazioni, peccato che omettesse che il prodotto veniva si usato in quel reparto, ma solo durante l’allattamento (quando ovviamente il corpo del bambino è già formato) e non durante il puerperio. Questo comportamento insospettì la foods and drugs administration americana che vietò l’immissione in commercio negli USA del prodotto (l’ispettrice che prese la decisione fu poi premiata con la massima onorificenza civile americana).
Nel mentre i casi continuarono, nel 1960 vennero al mondo a causa della Thalidomide 20mila bambini focomelici, 8000 solo in Europa, dei quali circa 1000 in Italia (ai quali è stato riconosciuto un risarcimento dal governo italiano solo nel 2009). A quel punto il caso divenne di dominio pubblico, nel 1961 il farmaco venne ritirato. Nelle inchieste successive emerse che il farmaco non era mai stato testato in gravidanza. Nel 1968 iniziò il processo contro i dirigenti della ditta tedesca, ma intanto il reato era caduto in prescrizione. Nel 2007 l’erede della proprietà della Grünenthal ha per la prima volta chiesto scusa per questo evento e si è dichiarato disponibile a sostenere le persone danneggiate dalla thalidomide.
Purtroppo, e questo nulla toglie alla gravità del fatto, la scienza impara anche dai propri errori (comunque in questo caso si tratta di comportamenti delinquenziali che poco hanno a che vedere con il “metodo” scientifico, anzi, ne sono un evidente tradimento) e dopo il caso thalidomide i protocolli di sperimentazione sono diventati molto più rigorosi riguardo alle controindicazioni in gravidanza; di fatto oggi sono pochissimi infatti i farmaci che non sono dichiarati controindicati in quelle condizioni e la prudenza è divenuta la stella polare dei comportamenti di pediatri e specialisti.
Fine della prima parte. Continua domani.