“Interstellar” di Christopher Nolan (2014)

Nella società del futuro sostenere che l’uomo è stato sulla Luna è una bizzarria per la quale gli insegnanti convocano i genitori per segnalare la stranezza e raccomandare di correggere queste idee eversive nella testa dei figli.
Allo stesso momento equipaggi umani, dotati anche di robot con un alquanto irritante senso dello spirito e di notevole chiacchiera, sono spediti ai quattro angoli dell’universo alla ricerca di un pianeta adatto alla vita. E tutto è pronto per un trasferimento massiccio della popolazione terrestre verso un pianeta ospitale, superando le barriere dello spazio e del tempo.
Le due cose non stanno insieme.

Essendo stati accaniti lettori di Urania sappiamo tutto sui viaggi nel tempo e sui tesseratti, comprese alcune complicazioni che occorrono a chi attraversi il ponte di Einstein-Rosen senza adeguata preparazione, e anche il paradosso dei gemelli è stato sviscerato in tutte le sue implicazioni. Sappiamo cosa succede quando si torna nel tempo per uccidere il proprio padre da giovane, prima che abbia potuto generarci o addirittura sé stessi.
Mancava, o almeno non ci risulta di averlo mai letto, la situazione di un padre che torna e trova la figlia molto più vecchia di lui, ormai centenaria.

La storia è questa, in sintesi: la terra è affetta da una peste che distrugge le coltivazioni e la vita non solo umana è in pericolo di estinzione. Alcuni degli equipaggi mandati per esplorare l’universo hanno forse trovato dei pianeti abitabili ma non è certo. Cooper (Matthew McConaughey) accetta una missione ad altissimo rischio per andare a vedere che succede. Utilizzando un varco spazio-temporale opportunamente disposto presso Saturno l’equipaggio della nave esplorativa visiterà due pianeti uno più strano dell’altro ma entrambi inadatti a essere colonizzati.
Il ritorno avverrà attraversando l’orizzonte degli eventi e finendo in un tesseratte a 5 dimensioni che non è altro che il retro della libreria dove la figlia riceveva le visite di quello che credeva essere un fantasma.
Grazie ai dati trasmessi in codice morse alla figlia l’uomo potrà risolvere le equazioni necessarie per trasferirsi su stazioni spaziali autosufficienti.
Alla fine Cooper ritrova la figlia ormai centenaria, in una singolare e straniante inversione delle età.

Si tratta alla fin fine di un film sentimentalone il cui filo conduttore è il rapporto che lega il padre alla figlia dapprima ribelle da giovanissima (Mackenzie Foy), poi (Jessica Chastain) scienziata impegnata ad assistere l’anziano inventore della stazione spaziale (Michael Caine) nel ricordo del padre e infine centenaria (Ellen Burstyn) nell’ultimo straniante incontro con il padre più giovane di lei.

Il guazzabuglio pseudo (fanta)scientifico è solo contorno e pretesto per immagini e ambientazioni molto belle seppur inconsistenti dal punto di vista scientifico.

La mente va subito a Kubrick, com’è facilmente immaginabile. Saturno doveva essere la sede del monolite nella prima idea di 2001 Odissea nello spazio. Poi per la difficoltà tecnica di riprodurre gli anelli Kubrick ripiegò saggiamente su Giove. Kubrick non spiega nulla e il suo capolavoro è rigoroso e anticipatore dei tempi; Nolan spiega tutto in loquacissime spiegazioni corredate anche di disegno ma usa la scienza come sfondo per azioni da Star Wars. E quando cita esplicitamente Kubrick nella scena del rientro nella base attraverso il portello bloccato lo fa esplodere, il che dovrebbe suscitare almeno una risata: perché mai un astronauta dovrebbe gettarsi fuori da una navicella sapendo che il portello della base è bloccato? può verosimilmente essere tanto stupido? E perché mai la base dovrebbe esplodere tra fuoco e fiamme in seguito a questa manovra maldestra?

La natura di film antiscientifico e sentimentalone è attestata anche dalla formula con la quale Cooper risolve il problema di attraversare l’orizzonte degli eventi e usare il buco nero come fionda gravitazionale (chi ha avuto dimestichezza con Urania sa perfettamente di cosa si tratta). La formula è amor vincit omnia; niente matematica, è l’amore che lo porta nel tesseratte e da qui gli permette di comunicare con la figlia.
E meno male che il film ha avuto Kip Thorne, premio Nobel per la fisica grazie alla scoperta delle onde gravitazionali, come consulente e produttore esecutivo.

Detto questo, le scene nella fattoria sono incantevoli, i pavimenti di legno a cera e la grande libreria ci hanno deliziato. I pianeti alieni sono straordinari, complici l’Islanda e qualche deserto californiano. I trucchi sono molto belli, fisici e corposi. Non fosse parlato sarebbe un grande film. Anche su questo Kubrick ha avuto la vista lunga.

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