Di Luigi Desiderato
Mi sono già espresso su quello che appare essere “La buona scuola”: una non-riforma che serve solo e semplicemente per dire che si è fatto qualcosa, ma di fatto i mali della scuola italiana rimangono tali, se non accresciuti, con l’aggiunta, che non manca mai, di gravare ancora di più sulle tasche dei contribuenti. Sappiamo che un buon 30% dei dipendenti pubblici appartengono o girano intorno a questa “funzione dello stato” e col consumo di denaro pubblico che comporta, ci si aspetterebbe davvero un qualcosa di molto maggiore in termini di efficienza e risultati (non chiamiamo tutto questo produttività che altrimenti qualcuno potrebbe essere indotto a pensare e dire che la scuola non è un’azienda).
Come è noto, sono un ormai un consumato rappresentante dei genitori e, quindi, con una lunga esperienza maturata di riunioni senza alcun obiettivo tranne consumare tempo, per altro retribuito, di chi nella scuola lavora o dovrebbe farlo; posso dire che conosco abbastanza bene certi meccanismi i quali prevedono che ci sia sempre e comunque un verbale, che nessuno mai leggerà, ma non può certo mancare – al quale, se non viene fatto seguire assolutamente nulla, è meglio per tutti, così non ci sono rogne: generalmente, il ventisette del mese viene atteso spasmodicamente tanto quanto un bambino attende il passaggio di Babbo Natale per verificare se abbia lasciato dei doni. Col susseguirsi negli anni di svariate riforme che hanno avuto il pregio di peggiorare sempre quello che era stato già (mal)riformato in precedenza, sono entrati a pieno titolo a far parte del sistema educativo anche i genitori i quali man mano hanno assunto sempre più “potere”, tanto da diventare in alcuni casi un vero e proprio “spauracchio” o comunque un “timore”, palesemente sofferto da dirigenti ed insegnanti, a causa della loro potenzialità di adire le vie della giustizia per riparare de-iure ad una bocciatura (magari pienamente meritata sul campo dal pargolo ineducato o lazzarone e in quanto tale iper-premiato sempre e comunque dai medesimi mamma e papà).
Certo, non tutti possono essere rappresentati da questa narrazione: ci sono fior fiore di insegnanti che dedicano ogni sforzo alla loro attività, così come ci sono genitori che si adoperano per contribuire alla corretta educazione / formazione dei propri figli: purtroppo, questi sono sempre più episodi sporadici che lasciano intravvedere indubbiamente una delle cause del declino del paese. La scuola insomma non è vista come la fucina dei cittadini responsabili di domani, di persone che abbiano competenze e valori tali da poter rappresentare a loro volta dei pilastri sui quali far progredire il proprio paese. Senza voler nuovamente fare un’aspra critica alla riforma del “La buona scuola”, ma volendo cogliere e sviluppare al meglio le indicazioni introdotte, questa riforma porta in se’ una particolare novità che dovrebbe essere sfruttata al meglio per aiutare ogni studente ad un certo indirizzo verso la propria vita futura: l’alternanza scuola lavoro.
Dimentichiamo per un momento l’uso abbastanza distorto delle parole: qui di alternanza non c’è proprio nulla, semmai c’è un accostamento degli studenti al mondo del lavoro. Si dovrebbe parlare dell’ approccio spiccatamente burocratico, come al solito del resto, che viene dato a questa novità da parte dei dirigenti e del corpo docente, ebbene oggi faccio solo delle osservazioni su dei numeri abbastanza limitati e che non hanno minimamente la pretesa di descrivere compiutamente un fenomeno, ma una qualche indicazione sicuramente la danno. Prendiamo una classe costituita da 22 studenti e vediamo cosa ci dicono i numeri: come sappiamo, sono previste 20 ore di “introduzione teorica” a scuola di questa iniziativa, 80 ore di “pratica” presso aziende o affini sul territorio per le terze, 120 ore per le quarte 7/22 (=31.8%) studenti hanno dei debiti formativi (una volta si chiamavano insufficienze): per costoro, la seconda metà del mese di gennaio è utile per i cosiddetti periodi di recupero: ovvero, tempo da utilizzarsi per colmare le lacune accumulate nella prima parte dell’ anno. Questi studenti non partecipano adesso al periodo di “alternanza scuola lavoro”, ma dovranno rinviarlo a dopo la chiusura delle lezioni, diciamo a giugno p.v. 14/22 (=63.6%) studenti impiegheranno questo periodo di “pratica” presso: A) ospedale; B) biblioteca comunale; C) uffici comunali non diversamente qualificati; D) ASL; E) redazioni di giornali; F) vigili urbani; G) pompieri; 1/22 (=4.5%) studente sarà impiegato presso un’ azienda produttiva del territorio Va altresì segnalato che la disponibilità di studi professionali (notai / avvocati / ingegneri / geometri / ecc.), di attività commerciali, di aziende produttive è di fatto stata evidenziata addirittura in numero maggiore di quanto non si potesse immaginare in prima istanza. Come si vede, in stragrande maggioranza, la destinazione è verso un ufficio pubblico, verso un impiego dallo stipendio futuro garantito. Sicuramente, complice di queste scelte sarà stata anche una valutazione fatta in famiglia. Ripeto: non vuole per nulla essere significativa questa mini analisi, ma un’indicazione c’è: il posto fisso, possibilmente nella Pubblica Amministrazione dove non si deve poi faticare molto per portare a casa uno stipendio a prescindere. E’ chiaro che nessuno può emettere un qualsiasi giudizio sulle legittime scelte di altri, ma al di là di questa legittimità, lascia abbastanza perplessi il fatto che già ad un’età molto giovane ci siano degli indirizzi cosi ben precisi. Sembra quasi che ci sia una consapevolezza che il paese non avrà certo risorse da impegnare in ricerche scientifiche, biotecnologiche, informatiche, industriali, e appare del tutto evidente, che il declino italiano, ben lungi dall’ essere non solo fermato, è quasi quasi un’ idea perseguita con ignara (davvero?) volontà da noi stessi, in preda a chissà quale strana incapacità di osservare il mondo ed individuare delle possibili strade per invertire la caduta continua, inarrestabile e inalienabile che attanaglia il paese da decenni.
Il declino è dentro di noi, è una metastasi della ragione e della conoscenza prima che economica, è in ognuno di noi ed è esattamente quello che stiamo coltivando credendo di vivere nel Nirvana nel quale tutto è attutito, tutto è soffuso, in attesa che arrivi un improbabile Messia che ci toga le castagne dal fuoco, per altro sempre e solo a spese altrui. Non se ne esce, forse perché’ proprio non ne vogliamo davvero uscire. E così il peggio dovrà sempre ancora arrivare: quando poi si dice che la politica è lo specchio esatto del paese, credo che sia una semplicissima verità inoppugnabile.