di Rosanna Montanari
Ricordate quel film, con Adam Sandler, ”Big Daddy”? Uno scavezzacollo che da un giorno all’altro si ritrova nel ruolo di padre con un bambino di 5 anni da accudire?
Una commediola dove, tra l’intrecciarsi di varie storie, non passa inosservata l’educazione di questo neo padre nei riguardi di un bambino a lui sconosciuto.
La “soluzione”, perché il piccolo si adatti, sarà di fargli fare delle scelte libere: dal come vestirsi, cosa mangiare, fino a cambiarsi addirittura il nome.
Tutto molto enfatizzato e discordante, ma portare il bambino a delle scelte del tutto individuali per adattarsi ad un contesto a lui sconosciuto, agevolerà la relazione.
Un altro film noto è “Mi chiamo Sam” con il grande Sean Pean, dove un padre affetto da un ritardo mentale, sarà in grado di prendersi cura della sua bambina mettendosi, non ha alternative, al suo stesso livello, facilitato dal fatto che, brutto a dirsi, le sue abilità sono quelle di un bambino.
Fa riflettere vero?
Durante il periodo di Natale, è andato in onda uno sceneggiato sulla di vita Maria Montessori, interpretata dalla simpatica e brava Paola Cortellesi. In questa fiction si percepisce facilmente come l’insegnamento consista nel favorire l’esperienza della vita e che tramite questa si provi il piacere di imparare.
Una scena, in particolare, mi ha colpita: in una classe composta da bambini senza regole e con problemi comportamentali (i suoi primi studi riguardarono i bambini “anormali”), l’insegnante porta in classe una piccola di pochi mesi che, senza dire assolutamente nulla, riesce ad attirare l’attenzione degli allievi. Questi, incuriositi dalla presenza della piccola ospite, si riducono al silenzio portandoli a riflettere su quanto quest’ultimo sia piacevole da “ASCOLTARE”.
Sentire, capire, intuire… valorizzare il significato dell’esperienza diretta tramite l’osservazione.
Il metodo Montessoriano non è sempre stato compreso: si espanse in tutto il mondo fuorchè, guarda caso, in Italia, perchè in antitesi alla cultura pedagogica prevalente dell’epoca fascista. Il suo metodo educativo si sta, al giorno d’oggi, rivalutando, dimostrando, con le sue strategie e i suoi strumenti, la sua attualità e modernità sin da allora.
La scuola dovrebbe essere tutto questo e non solo un luogo di apprendimento. Dovrebbe essere un luogo di crescita emotiva dove il compito dell’educatore sia quello di preparare il bambino, a fare le sue scelte “giuste”, tali perché in concordanza con ciò che sente e pensa. Già, perché il bambino sa, sente e pensa. E’ già un piccolo uomo o una piccola donna con le proprie opinioni. Il bambino sa cosa lo fa stare bene.
Nella scuola attuale della primissima infanzia, educatori, come io sono, stanno mettendosi in gioco per la valorizzazione di questo tipo di insegnamento attraverso corsi di aggiornamento, visite a luoghi con ambienti a misura bambino, ricerca di spazi educativi dedicati all’outdoor, incontri coi genitori per motivarli e coinvolgerli a questo tipo di approccio. Con fatica e non senza contraddizioni, cercando di evitare la figura di un educatore/insegnante che pensa solo a portare a termine un programma senza rispettare i ritmi e i tempi dei cuccioli che gli vengono affidati, sforzandosi di non sostituirsi al bambino e di lasciargli fare le sue piccole esperienze in autonomia.
Ho fatto un corso, terminato qualche settimana fa, sull’organizzazione degli spazi secondo le esigenze del bambino, con tanto di video su alcuni momenti della scuola dell’infanzia di parecchio tempo fa, giusto per farci riflettere su come gli spazi a misura bambino possano far si che i bambini si organizzino da soli.
Tutto molto bello e interessante, ma non nella scuola di oggi dove si ha paura di rimanere indietro con i programmi, che i propri figli si facciano male e si riempono di stimoli per il piacere del genitore stesso.
Nonostante tutte queste difficoltà, mi piace pensarmi come educatrice che educa a delle “scelte” che rispetta il piccolo individuo come essere pensante, che organizza lo spazio a sua misura e in base alle competenze . Come adulto di riferimento, lo invito a rispettare le semplici regole quotidiane di una piccola comunità in crescita, ma devo concedergli la possibilità di esprimere la propria opinione in ogni campo.